Ultime pronunce pubblicate deposito del 07/07/2010
 
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Deposito del 07/07/2010 (dalla 235 alla 244)

 
S.235/2010 del 05/07/2010
Udienza Pubblica del 25/05/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore MAZZELLA


Norme impugnate: Artt. 3, c. 1°, 2°, 3° e 12°, e 9, c. 3° e 4°, della legge della Regione autonoma della Sardegna 07/08/2009, n. 3.

Oggetto: Amministrazione pubblica - Impiego pubblico - Norme della Regione Sardegna - Misure per il superamento del lavoro precario nella pubblica amministrazione regionale - Autorizzazione alla Regione ad assumere personale a tempo determinato, per motivate esigenze straordinarie entro la misura massima del 3 per cento delle dotazioni organiche, sulla base di pubbliche selezioni, privilegiando quelle per soli t itoli - Autorizzazione alla Regione a finanziare programmi pluriennali di stabilizzazione dei lavoratori precari delle amministrazioni locali - Autorizzazione all'Amministrazione regionale ad inquadrare i dipendenti in servizio al 1 gennaio 2009 a tempo determinato, a condizione che il rapporto di lavoro sia stato instaurato a seguito di concorso pubblico e prorogato almeno una volta - Lamentata esorbitanza dalla potestà organizzativa statutariamente attribuita alla Regione e invasione delle competenze statali in materia di assunzioni e stabilizzazioni, contrasto con le normative statali di riferimento;
Istruzione - Norme della Regione Sardegna - Disposizioni in materia di utilizzo del personale precario della scuola e distribuzione delle risorse di personale tra le istituzioni scolastiche - Lamentata interferenza nell'ordinamento e organizzazione del sistema di istruzione nonché nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, contrasto con l'accordo sottoscritto il 31 luglio 2009 dal Ministro dell'Istruzione e l'Assessore della Pubblica Istruzione della Regione Sardegna, mancato coinvolgimento dell'Ufficio scolastico regionale.

Dispositivo: illegittimità costituzionale - non fondatezza
Atti decisi: ric. 98/2009
S.236/2010 del 05/07/2010
Udienza Pubblica del 08/06/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore CASSESE


Norme impugnate: Art. 83 undecies del decreto del Presidente della Repubblica 16/05/1960, n. 570, aggiunto dall'art. 2 della legge 23/12/1966, n. 1147.

Oggetto: Elezioni - Operazioni per le elezioni dei consiglieri provinciali - Ricorso avverso gli atti endoprocedimentali attualmente lesivi anteriormente alla proclamazio ne degli eletti - Esclusione secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato costituente diritto vivente.

Dispositivo: illegittimità costituzionale parziale
Atti decisi: ord. 222/2009
O.237/2010 del 05/07/2010
Camera di Consiglio del 12/05/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore TESAURO


Norme impugnate: Art. 19, lett. c), della legge 22/04/2005, n. 69.

Oggetto: Estradizione - Mandato d'arresto europeo - Garanzie richieste allo Stato membro di emissione - Previsione che, se la persona oggetto del mandato di arresto europeo ai fini di un'azione penale è cittadino o residente dello Stato italiano, la consegna sia su bordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione - Esclusione che la medesima facoltà di chiedere l'esecuzione della pena nello Stato italiano di residenza sia riconosciuta anche al cittadino comunitario non italiano che abbia già riportato una condanna penale per la quale è stata richiesta la consegna con mandato d'arresto europeo dall'autorità dello Stato estero che ha pronunciato la condanna.

Dispositivo: manifesta inammissibilità
Atti decisi: ord. 20/2010
O.238/2010 del 05/07/2010
Camera di Consiglio del 26/0 5/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore SAULLE


Norme impugnate: Legge della Regione Toscana 21/11/2008, n. 62: discussione limitata all'art. 34.

Oggetto: Ambiente - Norme della Regione Toscana - Sostituzione dell'art. 12-bis della legge regionale n. 91 del 1998 - Acque - Previsione che la Regione emani un regolamento per "la definizione di criteri per il riuso delle acque" - Contrasto con la normativa statale che individua come competenza regionale unicamente l'adozione di "norme e misure volte a favorire il riciclo dell'acqua e il riutilizzo delle acque reflue depurate".

Dispositivo: estinzione del processo
Atti decisi: ric. 7/2009
O.239/2010 del 05/07/2010
Camera di Consiglio del 26/05/ 2010, Presidente AMIRANTE, Redattore SAULLE


Norme impugnate: Artt. 13, c. 1°, lett. a), e 21, c. 2°, lett. c), della legge della Regione Calabria 17/08/2009, n. 28.

Oggetto: Professioni - Cooperative sociali - Norme della Regione Calabria - Attività di formazione - Attribuzione alla Regione e agli enti locali di competenze in ordine alla formazione di base ed all'aggiornamento degli operatori, anche attraverso l'individuazione, la definizione ed il sostegno di nuovi profili professionali nell'ambito delle attività di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati - Concessione di contributi annuali alle cooperative sociali e ai loro consorzi a sostegno dei processi di riqualificazione tecnico-professionale, anche in relazione a nuove disposizioni normative in materia di profili professionali - Lamentata interferenza nella competenza statale in materia di professioni.

Dispositivo: estinzione del processo
Atti decisi: ric. 97/2009
O.240/2010 del 05/07/2010
Udienza Pubblica del 08/06/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore MADDALENA


Norme impugnate: Artt. 3, c. 3° e 6, c. 2°, della legge della Regione Calabria 19/10/2009, n. 35.

Oggetto: Edilizia e urbanistica - Calamità pubbliche e protezione civile - Norme della Regione Calabria - Intervento edilizio in zone sismiche - Necessità di autorizzazione da parte del competente Servizio tecnico regionale - Esclusione dell'autorizzazione sismica per i progetti presentati dalle Ferrovie dello Stato s.p.a. - Contrasto con il testo unico sull'ed ilizia che non contempla tale deroga e invece attribuisce, a tutela de lla pubblica incolumità, il potere di deroga allo Stato;
Sopraelevazioni degli edifici - Necessaria allegazione di un certificato redatto dal progettista, sostitutivo della certificazione del competente Ufficio tecnico regionale - Contrasto con il testo unico sull'edilizia che, a tutela della pubblica incolumità, autorizza le sopraelevazioni solo previa certificazione dell'Ufficio tecnico regionale che specifichi il numero massimo di piani realizzabili in sopraelevazione.

Dispositivo: estinzione del processo
Atti decisi: ric. 105/2009
O.241/2010 del 05/07/2010
Camera di Consiglio del 09/06/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore GALLO


Norme impugnate : Artt. 4, c. 2° e 9, c. 1°, del decreto legge 23/05/2008, n. 90, convertito con modificazioni in legge 14/07/2008, n. 123.

Oggetto: Giustizia amministrativa - Giurisdizione esclusiva - Devoluzione al giudice amministrativo delle controversie "comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti" - Misure cautelari precedentemente adottate (anche) dai giudici ordinari - Cessazione di ogni effetto ove non riconfermate dal TAR del Lazio (competente in primo grado) entro trenta giorni dall'entrata in vigore del d.l. n. 90 del 2008.
Inquinamento - Gestione dei rifiuti - Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania - Autorizzazione della realizzazione di una discarica nel comune di Serre (SA), località "Valle della Masseria".

Dispositivo: manifesta inammissibilità
Atti decisi: ord. 43/2010
O.242/2010 del 05/07/2010
Camera di Consiglio del 09/06/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore CASSESE


Norme impugnate: Art. 1, c. 2°, del decreto legislativo 15/12/1997, n. 446.

Oggetto: Imposte e tasse - Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) - Non deducibilità ai fini delle imposte sui redditi, in specie, ai fini della determinazione dell'imponibile IRES.

Dispositivo: manifesta inammissibilità
Atti decisi: ord. 42/2010
O.243/2010 del 05/07 /2010
Camera di Consiglio del 09/06/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore TESAURO


Norme impugnate: Art. 1, c. 796°, lett. o), della legge 27/12/2006, n. 296; art. 33, c. 2°, della legge della Regione Puglia 16/04/2007, n. 10, come modificato dall'art. 2 della legge della Regione Puglia 05/06/2007, n. 16.

Oggetto: Sanità pubblica - Prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio rese da strutture private accreditate - Obbligo dell'applicazione di uno sconto tariffario rispettivamente del 2 e del 20 per cento sulle tariffe di cui al Decreto del Ministro della sanità 22 luglio 1996.

Dispositivo: manifesta infondatezza
Atti decisi: ord. 75/2010
O.244/2010 del 05/07/20 10
Camera di Consiglio del 09/06/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore QUARANTA


Norme impugnate: Art. 8, c. 1°, lett. b), della legge della Regione Marche 08/10/2009, n. 22, integrativo dell'art. 122, c. 7° bis, del decreto legislativo 12/04/2006, n. 163.

Oggetto: Appalti pubblici - Norme della Regione Marche - Contratti di lavori pubblici sotto soglia comunitaria - Selezione dei soggetti cui rivolgere l'invito - Lamentata introduzione di criteri aggiuntivi a quelli stabiliti dal legislatore nazionale.

Dispositivo: estinzione del processo
Atti decisi: ric. 104/2009

pronuncia successiva

SENTENZA N. 235

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, commi 1, 2, 3 e 12, e 9, commi 3 e 4, della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2009 n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 16-20 ottobre 2009, depositato in cancelleria il 26 ottobre 2009 ed iscritto al n. 98 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Sardegna;

udito nell’udienza pubblica del 25 maggio 2010 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

uditi l’ avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Graziano Campus e Salvatore Alberto Romano per la Regione Sardegna.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso depositato in cancelleria il 26 ottobre 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, con riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione, nonché agli artt. 3 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e al principio di leale collaborazione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1, 2, 3 e 12, e dell’art. 9, commi 3 e 4, della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale).

1.1.- Espone il ricorrente che l’art. 3 della predetta legge regionale, rubricato «Disposizioni per il superamento del precariato», al comma 1, impone alcuni limiti alla Regione Sardegna e agli enti pubblici regionali sardi circa il ricorso ad assunzioni con contratti a tempo determinato; stabilisce un limite quantitativo massimo al ricorso a tali forme di collaborazione (non più del 3% dell’organico complessivo); prevede la necessità di procedure pubbliche di selezione (privilegiando quelle per soli titoli); precisa che tali assunzioni non costituiscono in alcun modo presupposto per l’ingresso nei ruoli a tempo indeterminato, prevedendo, infine, quale sanzione in caso di inosservanza delle disposizioni predette, la nullità dei provvedimenti di assunzione e la responsabilità contabile di chi li ha posti in essere.

Il comma 2 del predetto art. 3, espone il ricorrente, autorizza l’amministrazione regionale a finanziare programmi pluriennali di stabilizzazione dei lavoratori precari delle amministrazioni locali.

A sua volta, il comma 3 stabilisce che i comuni e le province provvedano alla realizzazione dei programmi di stabilizzazione dei lavoratori precari, fatta eccezione per quelli assunti con funzioni dirigenziali e per quelli di nomina fiduciaria degli amministratori, attribuendo priorità ai lavoratori provenienti dai cantieri a finanziamento regionale e a quelli già assunti con contratti a termine, di natura flessibile, atipica e con collaborazioni coordinate e continuative in ambito di analoghe attività a finanziamento pubblico regionale.

Il comma 12, infine, autorizza la Regione e gli enti regionali ad inquadrare i dipendenti in servizio a una certa data a tempo determinato, alla sola condizione che il rapporto di lavoro sia stato instaurato a seguito di concorso pubblico e che lo stesso sia stato prorogato almeno una volta alla data di entrata in vigore della legge.

Le predette disposizioni, secondo il Presidente del Consiglio, inciderebbero illegittimamente sulle competenze statali e dovrebbero essere dichiarate incostituzionali.

Quanto al comma 1, il ricorrente rammenta che l’art. 3 dello statuto speciale per la Sardegna contempla, alla lettera a), quale ambito della potestà legislativa regionale, l’«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale». Trattasi, secondo il ricorrente, di disposizione riferita alla potestà organizzativa, dalla quale esulerebbe del tutto la regolamentazione delle modalità di assunzione del personale a tempo determinato, che atterrebbe invece, con tutta evidenza, all’ordinamento civile.

Il successivo art. 5, alla lettera b), conferisce alla Regione la facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione ed attuazione in materia di lavoro, ma, sostiene il ricorrente, la potestà deve essere esercitata nell’ambito ed in consonanza con la normativa statale.

Secondo la previsione dell’art. l0 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione), in carenza di disposizioni di rango costituzionale specificamente riferite alla Regione Sardegna, dovrebbe farsi riferimento alle previsioni dell’art. 117 Cost. Ebbene, la materia regolata al primo comma dell’art. 3 esulerebbe dalla competenza regionale, rientrando appunto nelle attribuzioni statali esclusive di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (ordinamento civile). La materia, infatti, sarebbe disciplinata dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato), che testualmente dispone, all’art. 10, comma 7, che «la individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi». La norma regionale sopra richiamata, in contrasto con la norma statale, sarebbe dunque invasiva di una competenza esclusiva dello Stato quale quella prevista dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e dovrebbe essere dichiarata incostituzionale.

In carenza di una norma statutaria ad hoc, il comma 1 dell’art. 3 si porrebbe altresì in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza, uguaglianza, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui del tutto irragionevolmente, nell’ambito delle forme pubbliche di selezione, privilegia, ai fini dell’assunzione, la selezione per soli titoli.

1.2.- Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, anche il comma 2 dell’art. 3 della legge censurata sarebbe illegittimo, per le stesse considerazioni svolte con riferimento al comma 1. La materia della stabilizzazione dei precari non sarebbe disciplinata dallo statuto della Regione Sardegna o norme successive e anch’essa inciderebbe sull’ordinamento civile, attribuito dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Carta fondamentale alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Peraltro, essa sarebbe in palese contrasto con l’art. 17, comma 15, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 3 agosto 2009, n. 102, che prevede, quale termine ultimo per procedere alle dette stabilizzazioni, la data del 31 dicembre 2010.

Anche l’art. 3, comma 3, della legge impugnata sarebbe illegittimo, dato che la materia della stabilizzazione dei precari non sarebbe in alcun modo disciplinata dallo statuto della Regione Sardegna o norme successive (in presenza del mero riferimento alla competenza attinente i profili organizzativi di cui all’art. 3, comma 1, lettera a), dello statuto citato ed alla materia del lavoro di cui all’art. 5) e atterrebbe, invece, all’ordinamento civile, per il quale l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione prevede la competenza legislativa esclusiva dello Stato. Peraltro, tale comma si porrebbe in palese contrasto con i diversi principi della normativa statale di cui all’art. 1, comma 519, della legge 7 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-legge finanziaria 2007), laddove si riferisce la procedura di stabilizzazione al «personale non dirigenziale i n servizio a tempo determinato da almeno tre anni», o che per un identico periodo sia stato in servizio negli ultimi cinque anni, e che sia stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge, contemplando per il personale precario diversamente assunto la necessità dell’espletamento di prove consimili. Il legislatore regionale, ampliando il novero dei soggetti destinatari della stabilizzazione e ricollegando il diritto alla stabilizzazione ad un periodo di servizio inferiore a quello individuato dalla normativa statale, avrebbe ecceduto dalla propria competenza.

Illegittimo, da ultimo, sarebbe il comma 12 dell’art. 3, con il quale si è previsto l’inquadramento di taluni dipendenti a tempo determinato. Anche qui difetterebbe la copertura dello statuto speciale o di norme sopravvenute di rango costituzionale direttamente riferite alla Regione Sardegna. Le uniche norme cui sarebbe in astratto ipotizzabile un rinvio, l’art. 3, lettera a) e l’art. 5, lettera b), dello statuto citato, conferiscono alla Regione, come visto, competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli uffici e stato giuridico ed economico del personale, ovvero competenza di mera integrazione ed attuazione nella materia del «rapporto di lavoro»: non pertanto, in tema di ordinamento civile, cui invece attiene la fattispecie in esame. Anche la norma in oggetto prevederebbe, per il personale regionale, un trattamento diverso rispetto al personale precario di altre amministrazioni pubbliche, in contrasto con la no rmativa statale di riferimento. Anche tale disposizione, inoltre, violerebbe i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché il principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost., eccedendo dalla competenza statutaria di cui all’art. 3, lettera a), e sarebbe destinata anch’essa ad essere dichiarata incostituzionale.

1.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna poi l’art. 9 della stessa legge regionale della Sardegna n. 3 del 2009, che detta, come recita la rubrica, «Disposizioni a favore dell’istruzione, della cultura, dello spettacolo e dello sport».

Il comma 3 di tale norma dispone che «La Giunta regionale, al fine di favorire l’utilizzo del personale precario della scuola secondo l’ordine delle relative graduatorie, predispone, per l’anno 2009-2010, un programma di interventi volto a sostenere l’estensione del tempo scuola nelle scuole dell’infanzia fino a cinquanta ore settimanali e l’attivazione, nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, di moduli didattico-integrativi. Il programma è approvato in via preliminare dalla Giunta regionale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e inviato alla Commissione consiliare competente che esprime il proprio parere entro quindici giorni, decorsi i quali se ne prescinde. Entro ulteriori dieci giorni la Giunta regionale lo approva in via definitiva. Alla relativa spesa si fa fronte con le disponibilità sussistenti nelle UPB S02.01.001 e 502.01.006. La Giunta regionale provvede alle v ariazioni compensative nell’ambito delle medesime UPB à termini della legge regionale n. 11 del 2006».

Il successivo comma 4 dispone che «Nelle more di una riforma organica della normativa regionale in materia di istruzione, la Giunta regionale, nell’ambito delle dotazioni organiche complessive definite in base alle vigenti disposizioni e tenuto conto delle condizioni di disagio legate a specifiche situazioni locali, definisce le modalità e i criteri per la distribuzione delle risorse di personale tra le istituzioni scolastiche. Nel rispetto dei criteri e delle modalità definiti dalla Giunta regionale, la direzione generale dell’Assessorato della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport, provvede alla distribuzione delle risorse di personale tra le istituzioni scolastiche».

Le disposizioni ora riportate inciderebbero illegittimamente nell’ambito della competenza statale

L’art. 9 detta disposizioni in materia di utilizzo del personale precario della scuola e distribuzione delle risorse di personale tra le istituzioni scolastiche. L’art. 5 dello statuto speciale conferisce alla Regione, alla lettera a), la facoltà di adottare norme di (mera) integrazione ed attuazione in materia di istruzione, in (ovvia e necessaria) conformità con le disposizioni contenute nella legislazione statale, in ottica di adattamento della stessa alle necessità scaturenti dalle peculiari caratteristiche della Regione stessa.

Il ricorrente evidenzia che la materia è stata oggetto di un accordo sottoscritto in data 31 luglio 2009 dal Ministro dell’istruzione e l’Assessore della pubblica istruzione della Regione Sardegna. Il comma 3, nel quale peraltro non è fatto alcun riferimento all’accordo, attribuisce alla Regione ogni potere decisionale in merito alla programmazione ed attuazione degli interventi, e ciò in contrasto con quanto previsto all’ultimo periodo del punto I dell’accordo (che recita: «con successivo accordo tra l’ufficio scolastico regionale e la Regione Sardegna saranno concordate le modalità di attuazione del piano»).

Da ciò discenderebbe, con piena evidenza, non solo una violazione delle competenze statutarie di cui all’art. 5, lettera a), ma anche una patente violazione del principio di leale collaborazione, pure costituzionalmente tutelato.

Anche la previsione del comma 4, prevedendo la distribuzione del personale alle istituzioni scolastiche da parte dell’Assessorato alla pubblica istruzione, potrebbe essere ricondotta in astratto nella materia di cui agli artt. 3 e 5 dello statuto della Regione Sardegna: non rientra, tuttavia, a ben vedere, nell’ordinamento degli uffici, né nello status dei dipendenti regionali.

Quanto alla materia dell’istruzione, si tratterebbe, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, di competenza che non può essere esercitata in contrasto con la normativa statale.

Orbene, le norme impugnate inciderebbero sull’ordinamento e l’organizzazione del sistema nonché sul rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni, rientranti nella competenza esclusiva dello Stato, atteso che le dotazioni organiche delle scuole sono determinate sulla base degli ordinamenti degli studi definiti a livello nazionale e che l’utilizzo del personale (di competenza statale), è regolato dai contratti nazionali di comparto.

Nella determinazione dei criteri e delle modalità di assegnazione non sarebbe d’altro canto fatto alcun riferimento al rispetto della normativa statale in materia, nella misura in cui gli stessi costituiscono principi generali, né sarebbe previsto alcun coinvolgimento dell’Ufficio scolastico regionale, circostanza anche questa in contrasto con il principio di leale collaborazione costituzionalmente tutelato.

Pertanto, il legislatore regionale eccederebbe dalla competenza statutaria di cui agli artt. 3 e 5 dello statuto speciale e violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. (determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni delle quali è garantita l’uniformità su tutto il territorio nazionale), nonché il principio di leale collaborazione che deve informare tutti i livelli di governo.

2.- Con atto del 24 novembre 2009 si è costituita nel giudizio di costituzionalità la Regione autonoma della Sardegna, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e infondato.

2.1.- Quanto alla prima censura, riguardante la disposizione di cui all’art. 3, comma 1, la Regione deduce che lo statuto speciale della Sardegna attribuisce alla Regione competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale» (art. 3, lettera a), dello statuto della Regione Sardegna). Detta previsione, lungi dal poter essere liquidata, come nel ricorso, con la rapida affermazione che essa sarebbe «riferita alla potestà organizzativa, dalla quale esula del tutto la regolamentazione delle modalità di assunzione del personale a tempo determinato, che atterrebbe, invece, alla materia dell’ordinamento civile», sarebbe proprio quella nella quale dovrebbe essere inquadrata la norma censurata, dato che i limiti ed i presupposti di utilizzazione di contratti a tempo determinato costituirebbero certamente aspetti organizzativi rilevanti per il funzionamento degli uffici regionali.

Priva di pregio sarebbe anche l’ulteriore censura relativa alla pretesa violazione degli artt. 3 e 97 Cost. per aver previsto che le assunzioni si svolgano attraverso forme pubbliche di selezione «privilegiando quelle per soli titoli». Secondo la Regione, la previsione di selezioni pubbliche per titoli – che sarebbero comunque forme concorsuali pleno jure – non può essere considerata irragionevole o contraria ai principi di buon andamento e imparzialità. In ogni caso, il ricorso non motiverebbe in alcun modo sulla pretesa irragionevolezza della scelta, che si palesa, al contrario, del tutto coerente con l’obiettivo di realizzare procedure concorsuali più brevi e snelle di quelle per esami, in relazione al tipo di contratto − a tempo determinato − cui si accede, ma ugualmente atte a garantire la selezione dei candidati più capaci, a tutela dell’efficienza dell’amministrazione.

2.2- Infondate sarebbero anche le analoghe censure rivolte nei confronti del comma 2 dell’art. 3 della legge regionale n. 3 del 2009, contestato nella parte in cui prevede il finanziamento di programmi pluriennali di stabilizzazione, mentre la legislazione statale di cui all’art. 17, comma 15, della legge n. 102 del 2009 prevede quale termine ultimo per procedere alle stabilizzazioni il 31 dicembre 2010.

Anche per quanto attiene al comma 12 del medesimo art. 3, la materia rientrerebbe appieno nella competenza legislativa esclusiva della Regione Sardegna ex art. 3, lettera a), dello statuto speciale, e le ulteriori censure accennate nel ricorso con riferimento a detto comma 12 circa l’asserita violazione dei principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della p.a. nonché del principio del pubblico concorso dovrebbero essere considerate inammissibili in quanto prive di ogni illustrazione o argomentazione.

In ogni caso, esse sarebbero del tutto infondate, in quanto il comma in esame espressamente prevede che si possa procedere all’inquadramento del personale a tempo determinato soltanto «a condizione che il rapporto di lavoro sia stato instaurato a seguito di concorso pubblico conforme alle disposizioni della legge regionale n. 31 del 1998».

2.3.- Quanto al secondo gruppo di censure contenute nel ricorso, riguardanti l’art. 9, commi 3 e 4, della legge della Regione Sardegna, in particolare con riguardo al comma 3, la competenza attuativa integrativa che l’art. 5 dello statuto speciale attribuisce alla Regione Sardegna in materia di «istruzione di ogni ordine e grado» non sarebbe la sola a venire in rilievo nel caso in esame, dato che la Regione Sardegna godrebbe anche, ex art. 10 legge cost. n. 3 del 2001, delle competenze oggi spettanti ex art. 117 Cost. alle Regioni ad autonomia ordinaria, in quanto più ampie di quelle statutarie. Essa avrebbe le caratteristiche di una competenza concorrente, corrispondente in ampiezza almeno a quella di cui sono titolari le Regioni ordinarie.

Né potrebbe vedersi una violazione del principio di leale collaborazione nel fatto della non perfetta coincidenza tra l’accordo citato nel ricorso e la disposizione di legge in questione. Infatti è inconfutabile che detto accordo è stato raggiunto quando la legge regionale era già nella fase di approvazione finale.

La Regione comunque riferisce che, al momento in cui scrive, sono in corso contatti e lavori tra la Giunta regionale e il Ministero stesso per giungere ad una sua modifica a seguito delle più recenti evoluzioni legislative (con o.d.g. del 22 settembre 2009 il Consiglio regionale della Sardegna ha impegnato la Giunta in tal senso, avendo lo stesso MIUR manifestato la sua disponibilità).

Quanto alle censure attinenti il comma 4 dello stesso art. 9, secondo la Regione, sarebbero anch’esse del tutto infondate. Ai sensi dell’art. 10 legge cost. n. 3 del 2001, le competenze oggi spettanti ex art. 117 Cost. alle Regioni ad autonomia ordinaria sarebbero più ampie di quelle statutarie. Tra le prime andrebbe annoverata la competenza legislativa concorrente in materia di “istruzione” («salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale»), che, secondo la Regione, incontra solo il limite dei principi generali stabiliti con legge dello Stato, e delle “norme generali sull’istruzione” attribuite alla competenza esclusiva statale (art. 117, comma 2, lettera n), Cost.).

La disciplina della distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche sarebbe certamente aspetto di estremo dettaglio, per cui non rientrerebbe in alcuna delle competenze statali in materia.

3.- Con memoria depositata il 4 maggio 2010 la Regione ha illustrato ulteriormente le proprie precedenti deduzioni.

Considerato in diritto

1. − Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, con riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione, nonché agli artt. 3 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e al principio di leale collaborazione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1, 2, 3 e 12, e dell’art. 9, commi 3 e 4, della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale).

1.1. − Il comma 1 dell’art. 3 della legge regionale impugnata detta norme per il contenimento del ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato, sottoponendo ad alcuni limiti la possibilità della Regione Sardegna e degli enti pubblici regionali sardi di ricorrere, per far fronte alle proprie esigenze, a contratti a tempo determinato.

In particolare, essa stabilisce che a tali forme di collaborazione si può ricorrere solamente per far fronte a motivate esigenze straordinarie; impone alle stesse un limite quantitativo massimo (non più del 3% dell’organico complessivo); prevede la necessità di procedure pubbliche di selezione (privilegiando quelle per soli titoli); precisa che tali assunzioni non costituiscono in alcun modo presupposto per l’ingresso nei ruoli a tempo indeterminato e prevede le sanzioni in caso di inosservanza delle predette disposizioni (nullità dei provvedimenti di assunzione e responsabilità contabile di chi li ha posti in essere).

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna la norma sotto un duplice profilo.

In primo luogo, deduce che essa invaderebbe la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, senza che sia possibile ricondurla nell’art. 3, lettera a), dello statuto della Regione Sardegna («Ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della regione e stato giuridico ed economico del personale») o nel successivo art. 5, lettera b) (che conferisce alla Regione la facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione ed attuazione in materia di lavoro).

In secondo luogo, il ricorrente censura – per violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza, uguaglianza, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost. – l’art. 3, comma 1, nella parte in cui privilegia, ai fini dell’assunzione, la selezione per soli titoli.

1.2. − Il comma 2 dell’art. 3 autorizza l’Amministrazione regionale a finanziare programmi pluriennali di stabilizzazione dei lavoratori precari delle amministrazioni locali.

Il comma 3, a sua volta, detta disposizioni sulla realizzazione dei programmi di stabilizzazione dei lavoratori precari di cui al precedente comma 2. In particolare, esso stabilisce che: «I comuni e le province provvedono alla realizzazione dei programmi di stabilizzazione dei lavoratori precari, fatta eccezione per quelli assunti con funzioni dirigenziali e per quelli di nomina fiduciaria degli amministratori, attribuendo priorità ai lavoratori provenienti dai cantieri a finanziamento regionale e a quelli già assunti con contratti a termine, di natura flessibile, atipica e con collaborazioni coordinate e continuative in ambito di analoghe attività a finanziamento pubblico regionale. Tali programmi di stabilizzazione sono attuati dagli enti locali interessati «avuto riguardo al personale precario che, entro la data di entrata in vigore della presente legge, abbia maturato almeno trenta mesi di servizio nelle pubbliche amministrazioni locali, an che non continuativi, a far data dal 1° gennaio 2002….».

Per tali commi, tra loro strettamente connessi, il ricorrente richiama le considerazioni svolte con riferimento al comma 1 e aggiunge che la materia della stabilizzazione dei precari non sarebbe disciplinata dallo statuto o da pertinenti norme successive e che anch’essa incide sull’ordinamento civile, materia attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettera l), della Carta fondamentale alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

1.3. − Il comma 12, infine, autorizza la Regione e gli enti regionali ad inquadrare i dipendenti in servizio a una certa data a tempo determinato, alla sola condizione che il rapporto di lavoro sia stato instaurato a seguito di concorso pubblico e che lo stesso sia stato prorogato almeno una volta alla data di entrata in vigore della legge. Tale disposizione, secondo il ricorrente, difetterebbe di copertura da parte dello statuto speciale o di norme sopravvenute di rango costituzionale direttamente riferite alla Regione Sardegna e, incidendo nella materia, di competenza esclusiva statale, dell’ordinamento civile, prevederebbe un trattamento diverso rispetto al personale precario di altre amministrazioni pubbliche, in contrasto con la normativa statale di riferimento

Il ricorrente censura detta norma in quanto contrasterebbe con i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché con quello del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione; e soggiunge che la norma rientrerebbe nella materia dell’ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., eccedendo dalla competenza statutaria di cui all’art. 3, lettera a), dello statuto per la Regione Sardegna.

2. − Le censure relative al comma 1 non sono fondate.

Deve premettersi che la norma censurata intende porre dei limiti alla possibilità della Regione di ricorrere, per far fronte a esigenze lavorative, a contratti a tempo determinato. Di fatto, però, essa autorizza la Regione medesima a stipulare proprio contratti di lavoro precario. L’intento, dichiarato nell’incipit, è in tal modo chiaramente contraddetto. Ciò nondimeno, la norma non eccede dalla competenza legislativa regionale.

La denunciata lesione di una competenza legislativa statale (per violazione della Costituzione in materia di ordinamento civile, o del principio di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione, di accesso ai pubblici uffici mediante pubblico concorso) non sussiste.

2.1 − E infatti, quanto alla dedotta violazione della competenza legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., deve osservarsi che questa Corte ha più volte affermato che, per la identificazione della materia in cui si colloca la disposizione impugnata, questa va individuata avendo riguardo all’oggetto o alla disciplina da essa stabilita, sulla base della sua ratio, senza tenere conto degli aspetti marginali e riflessi (in tal senso, sentenze n. 165 del 2007 e n. 368 del 2008).

In base ai suddetti criteri, la norma censurata deve ritenersi inquadrabile nella materia dell’organizzazione degli uffici regionali, attribuita dallo statuto sardo alla competenza legislativa esclusiva della Regione. L’art. 3, comma 1, invero, limitando la facoltà della Giunta regionale di ricorrere, per far fronte alle proprie esigenze operative, all’assunzione di lavoratori con contratto a tempo determinato, mira appunto a regolamentare le modalità di instaurazione di contratti di lavoro con la Regione. Essa, dunque, spiega la sua efficacia nella fase anteriore all’instaurazione del contratto di lavoro ed incide in modo diretto sul comportamento delle amministrazioni nell’organizzazione delle proprie risorse umane e solo in via riflessa ed eventualmente sulle posizioni soggettive discendenti da tale tipologia flessibile di contratto di lavoro.

D’altra parte, questa Corte ha più volte affermato il principio in base al quale «la regolamentazione delle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale è riconducibile alla materia dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali e rientra nella competenza residuale delle Regioni di cui all’art. 117, quarto comma, della Costituzione» (sentenze n. 380 del 2004, n. 95 del 2008 e n. 100 del 2010).

Quanto alla dedotta irragionevolezza della preferenza accordata alla selezione concorsuale per soli titoli e alla conseguente denunciata violazione del principio del concorso pubblico, con conseguente lesione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., questa Corte ha più volte sottolineato il carattere non assoluto del principio enunciato nell’art. 97 Cost., ed ha affermato la legittimità di forme di selezione più agili, purché rispettose dell’esigenza di garantire parità nell’accesso e un adeguato livello di competenza. Per le assunzioni a tempo determinato, essa ha sempre sottolineato la diversità di situazione tra queste forme contrattuali, in cui la temporaneità dell’incarico può giustificare deroghe al principio del pubblico concorso, rispetto a quelle a tempo indeterminato (v. sentenze n. 252 e n. 293 del 2009). Deve, pertanto, ritenersi che la previsione di un metodo selettivo concorsuale più snel lo, in luogo di quello, maggiormente garantito, per titoli ed esami, è giustificata dal carattere temporaneo delle necessità organizzative da soddisfare e dalla conseguente esigenza di maggiore rapidità nello svolgimento delle selezioni. La norma, dunque, anche sotto tale aspetto, è ragionevole e rispettosa dei principi affermati da questa Corte.

3. − Sono fondate le questioni di costituzionalità relative ai commi 2, 3 e 12 dell’art. 3.

3.1 − Il comma 2 autorizza la Regione a finanziare programmi di stabilizzazione, prescindendo dall’espletamento di concorsi. Il comma 3 stabilisce che comuni e province provvedano alla realizzazione dei programmi di stabilizzazione dei lavoratori precari e ne demanda l’attuazione agli enti locali, dettando criteri per la selezione del personale.

In buona sostanza, le due norme citate consentono che avvenga in modo indiscriminato lo stabile inserimento di lavoratori nei ruoli delle pubbliche amministrazioni sarde, senza condizionare tali assunzioni al previo superamento di alcun tipo di prova selettiva pubblica da parte degli interessati. Pertanto, esse si pongono in aperto contrasto con l’art. 97 Cost., che impone il concorso quale modalità di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni e consente deroghe a tale principio solo qualora ricorrano esigenze particolari e sia adeguatamente garantita la professionalità dei prescelti.

3.2 −Ad analoghe conclusioni deve giungersi per quanto attiene alla questione riguardante il comma 12, che autorizza la Regione e gli enti regionali ad inquadrare i dipendenti in servizio a una certa data con contratto a tempo determinato, alla sola condizione che il rapporto di lavoro sia stato instaurato a seguito di concorso pubblico e che lo stesso sia stato prorogato almeno una volta alla data di entrata in vigore della legge.

Anche tale norma, invero, viola il principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 51 e 97 Cost. La circostanza che il personale suscettibile di essere stabilizzato senza alcuna prova selettiva sia stato a suo tempo assunto con contratto a tempo determinato, sulla base di un pubblico concorso, per effetto della diversità di qualificazione richiesta delle assunzioni a termine rispetto a quelle a tempo indeterminato, non offre adeguata garanzia né della sussistenza della professionalità necessaria per il suo stabile inquadramento nei ruoli degli enti pubblici regionali, né del carattere necessariamente aperto delle procedure selettive.

Questa Corte, d’altronde, ha già avuto modo di affermare che «l’aver prestato attività a tempo determinato alle dipendenze dell’amministrazione regionale non può essere considerato ex se, ed in mancanza di altre particolari e straordinarie ragioni, un valido presupposto per una riserva di posti» (sentenza n. 205 del 2006); e che «il previo superamento di una qualsiasi “selezione pubblica”, presso qualsiasi “ente pubblico”, è requisito troppo generico per autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso, perché la norma non garantisce che la previa selezione avesse natura concorsuale e fosse riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale successivamente stabilizzato è chiamato a svolgere» (sentenza n. 293 del 2009).

4. – Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, altresì, l’art. 9, commi 3 e 4, della legge della Regione Sardegna n. 3 del 2009.

L’art. 9, comma 3, disciplina un programma di interventi per ampliare il tempo scuola nelle scuole dell’infanzia ed attivare moduli didattico-integrativi.

Il successivo comma 4 affida alla Giunta regionale la definizione di modalità e criteri per la distribuzione delle risorse di personale tra le istituzioni scolastiche

Entrambe le norme incidono illegittimamente, secondo l’Avvocatura dello Stato, in ambiti riservati alla competenza statale, esorbitanti le competenze previste dallo statuto speciale, e violano il principio di leale collaborazione.

5. – Sotto il primo profilo, il Presidente del Consiglio rileva che l’art. 9, comma 3, della legge della Regione Sardegna citata, nel prevedere che la Giunta regionale, al fine di utilizzare il personale precario della scuola secondo l’ordine delle relative graduatorie, predisponga, per l’anno 2009-2010, un programma di interventi inteso a favorire l’estensione del tempo scuola nelle scuole dell’infanzia fino a cinquanta ore settimanali e l’attivazione, nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, di moduli didattico-integrativi, si porrebbe in contrasto con l’art. 5 dello statuto regionale, il quale, alla lettera a), conferisce alla Regione Sardegna la facoltà di adottare norme di mera integrazione ed attuazione in materia di istruzione, in conformità con le disposizioni contenute nella legislazione statale, in una ristretta prospettiva di adattamento della stessa alle necessità scaturenti dal le peculiari caratteristiche della Regione stessa

La norma impugnata violerebbe, inoltre, il principio di leale collaborazione, pure costituzionalmente tutelato, trascurando che la materia è stata già oggetto di un accordo sottoscritto in data 31 luglio 2009 dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dall’Assessore della pubblica istruzione della Regione Sardegna. In particolare, il ricorrente censura la norma regionale per non aver fatto alcun riferimento alla suddetta intesa, attribuendo alla Regione ogni potere decisionale in merito alla programmazione ed attuazione degli interventi, in spregio alla previsione di cui all’ultimo periodo del punto I dell’accordo, il quale recita: «con successivo accordo tra l’ufficio scolastico regionale e la Regione Sardegna saranno concordate le modalità di attuazione del piano».

5.1. − La questione promossa, in riferimento all’art. 5, lettera a), dello statuto della Regione Sardegna, non è fondata.

Il parametro costituzionale invocato è erroneo. A seguito della riforma del titolo V della parte II della Costituzione, le Regioni a statuto ordinario vantano, nella materia dell’istruzione, una competenza legislativa concorrente, e non meramente integrativa-attuativa. Per effetto del principio esposto nella citata legge n. 3 del 2001 di riforma costituzionale, le disposizioni dettate dall’art. 117 Cost., delineando spazi di autonomia regionale più ampi, prevalgono infatti sulle norme statutarie. L’individuazione del parametro operata dal Presidente del Consiglio non è, dunque, pertinente, perché la norma che rileva ai fini della competenza della Regione in materia di istruzione è ormai l’art. 117, terzo comma, Cost., e non più l’art. 5, lettera a), dello statuto speciale.

5.2. – La questione non è fondata neppure in riferimento al principio di leale collaborazione.

La norma denunciata investe, in effetti, competenze e organismi statali, ossia il personale precario della scuola, attinto dalle relative graduatorie e destinatario di assunzioni a termine per l’estensione del tempo scuola, nonché l’attivazione di moduli didattico-integrativi (questi ultimi all’interno delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado). In tale contesto l’accordo sottoscritto in data 31 luglio 2009 dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dall’Assessore della pubblica istruzione della Regione Sardegna rinvia ad una successiva intesa della Regione con l’ufficio scolastico regionale la fissazione delle modalità di attuazione del piano.

La norma impugnata è rispettosa del principio di leale collaborazione perché, conformemente a quanto stabilito con l’accordo sottoscritto con il Ministro competente in data 31 luglio 2009, demanda, sia pure in modo implicito, la fase di confronto con l’autorità statale periferica al momento della concreta attuazione delle misure programmate. L’utilizzo, infatti, di risorse ed apparati centrali, nonché il coinvolgimento di risorse ed istituzioni nazionali, non può materialmente avvenire senza l’intesa con l’ufficio scolastico regionale.

6. – Il ricorrente censura anche l’art. 9, comma 4, della legge della Regione Sardegna n. 3 del 2009, che attribuisce alla Giunta il compito di definire, tenuto conto delle condizioni di disagio legate a specifiche situazioni locali, le modalità e i criteri per la distribuzione delle risorse di personale tra le istituzioni scolastiche e delega l’assessorato regionale alla pubblica istruzione ad attuare tali criteri mediante una più razionale distribuzione delle risorse umane tra le scuole.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri la norma violerebbe la competenza in materia di istruzione ai sensi degli artt. 3 e 5 dello statuto della Sardegna; sarebbero lesi, inoltre, l’ordinamento e l’organizzazione del sistema, di competenza statale esclusiva, e l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., ossia la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire con uniformità su tutto il territorio nazionale, posto che le dotazioni organiche delle scuole sono determinate sulla base degli ordinamenti degli studi definiti a livello nazionale e che l’utilizzo del personale (di competenza statale) è regolato dai contratti nazionali di comparto; infine, sarebbero stati ignorati i principi generali della normativa statale in materia di istruzione, essendo stato omesso ogni riferimento al riguardo nella determinazione dei criteri e delle modalità di assegnazione del personale, nonché il pr incipio di leale collaborazione tra tutti i livelli di governo, non essendo stato previsto alcun coinvolgimento dell’ufficio scolastico regionale.

6.1. – La questione promossa, in riferimento agli artt. 3 e 5 dello statuto della Regione Sardegna, non è fondata.

Il parametro costituzionale invocato è incongruo, atteso che l’art. 117 Cost., per effetto dell’art. 3 della citata legge costituzionale n. 3 del 2001, ha inserito l’istruzione tra le materie di legislazione concorrente ed ha così assegnato alla Regione uno spazio di autonomia più ampio rispetto alle norme statutarie. L’individuazione del parametro operata dal Presidente del Consiglio dei ministri non è, dunque, pertinente, dovendosi ora avere riguardo, ai fini della competenza della Regione in materia di istruzione, all’art. 117, terzo comma, Cost., piuttosto che agli artt. 3 e 5 dello statuto della Regione Sardegna.

6.2. – Anche in riferimento alla competenza statale esclusiva in tema di ordinamento ed organizzazione del sistema scolastico ed all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., sui livelli essenziali delle prestazioni, la questione sollevata non è fondata.

Questa Corte ha già chiarito che il compito della distribuzione del personale docente tra le istituzioni scolastiche autonome spetta alle Regioni (sentenza n. 13 del 2004). Essa ha più volte ribadito la necessità dell’intervento del legislatore regionale per la disciplina di «situazioni legate a valutazioni coinvolgenti specifiche realtà territoriali delle Regioni, anche sotto il profilo socio-economico». Ha così riconosciuto all’ambito di pertinenza regionale sia il settore della programmazione scolastica regionale, sia quello relativo al dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche, al quale è intimamente collegata la ripartizione delle correlative risorse di personale (sentenza n. 200 del 2009). D’altro canto, è la stessa norma regionale a circoscrivere espressamente il proprio intervento «nell’ambito delle dotazioni organiche complessive definite in base alle vigenti disposizioni». La volontà della Regione di conformarsi all’ordinamento statale, per quanto riguarda le dotazioni organiche determinate a livello nazionale, risulta quindi evidente dallo stesso tenore della norma.

Né rileva nella specie il richiamo alla fissazione dei livelli essenziali di prestazione, perché «la definizione dell’assetto organizzativo e gestorio del servizio» (sentenza n. 200 del 2009, che richiama altresì la sentenza n. 120 del 2005) rimane del tutto estranea al predetto parametro.

6.3. – La questione non è fondata, infine, nemmeno con riguardo al rispetto della normativa statale in materia di istruzione e del principio di leale collaborazione.

In primo luogo, perché non sono stati neppure indicati i principi generali, derivanti dalla normativa statale, che sarebbero stati violati.

In secondo luogo, perché, avendo la Regione disciplinato con legge la materia, non v’è da salvaguardare alcuna «esigenza di continuità di funzionamento del servizio di istruzione» che giustifichi tuttora l’intervento dell’ufficio scolastico regionale.

Da ultimo, la distribuzione del personale all’interno delle istituzioni scolastiche sulla base di scelte programmatiche e gestionali che rilevano solamente all’interno della Regione è da ritenere appartenente alla competenza legislativa dell’ente territoriale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 2, 3 e 12, della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale);

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Sardegna n. 3 del 2009 promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione e agli artt. 3, lettera a), e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 3 del 2009, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 5, lettera a), dello statuto della Regione Sardegna e al principio di leale collaborazione, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 4, della legge della Regione Sardegna n. 3 del 2009, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3 e 5 dello statuto della Regione Sardegna, all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e al principio di leale collaborazione, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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SENTENZA N. 236

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 83-undecies del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), promosso dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria, nel procedimento vertente tra L.B. ed altri e l’Ufficio elettorale centrale ed altri, con ordinanza del 28 maggio 2009 iscritta al n. 222 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti l’atto di costituzione di L.B. ed altri, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 giugno 2010 il Giudice relatore Sabino Cassese;

uditi l’avvocato Piergiorgio Alberti per L.B. ed altri e l’avvocato dello Stato Claudio Linda per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale della Liguria, sezione seconda, con ordinanza del 28 maggio 2009, notificata il 12 giugno 2009, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 48, 49, 51, 97 e 113 della Costituzione, dell’art. 83-undecies del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), nella parte in cui esclude la possibilità di un’autonoma impugnativa degli atti endoprocedimentali del procedimento elettorale, ancorché immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti.

1.1. – Il Tribunale rimettente riferisce che i ricorrenti nel giudizio principale hanno impugnato – in qualità di elettori, delegati alla presentazione di lista e candidati per la carica di Consigliere provinciale di Savona per la lista n. 12 denominata «Il Popolo della Libertà – Berlusconi per Vaccarezza» – i provvedimenti con cui è stata ricusata la lista stessa dalla competizione elettorale. In particolare, i ricorrenti hanno chiesto l’annullamento degli atti impugnati con concessione di adeguate misure cautelari provvisorie, atte a salvaguardare i loro diritti elettorali nelle more della decisione nel merito.

Nel giudizio a quo, riporta il giudice rimettente, si è costituita l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Genova, la quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso.

1.2. – Il Tribunale rimettente rileva che, successivamente alla decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 24 novembre 2005, n. 10, la giurisprudenza ha costantemente escluso la possibilità di un’autonoma impugnativa degli atti endoprocedimentali del procedimento elettorale, anteriormente alla proclamazione degli eletti, talché questa interpretazione dell’art. 83-undecies del d.P.R. n. 570 del 1960 costituirebbe ormai una «regola di diritto vivente».

2. – La rilevanza della questione, sostiene il giudice a quo, sarebbe evidente, dato che il ricorso ha per oggetto gli atti di ricusazione di una lista da una competizione elettorale che non si è ancora svolta. Il Tribunale rimettente osserva che l’applicazione della norma della cui legittimità costituzionale si dubita costringerebbe il giudice «a dichiarare l’inammissibilità del gravame e della accessiva istanza cautelare, precludendo definitivamente ai ricorrenti la partecipazione alla attuale competizione elettorale con conseguente compressione dei diritti elettorali costituzionalmente garantiti».

Il Tribunale rimettente, inoltre, rileva che il ricorso, al primo esame consentito nella sede cautelare, evidenzia la sussistenza del requisito del fumus boni iuris, il che induce ad una prognosi favorevole sull’esito del gravame, corroborando ulteriormente la rilevanza della questione. L’applicazione della norma censurata, infatti, osserva il giudice a quo, condurrebbe a negare la tutela cautelare, dichiarando l’inammissibilità del ricorso in relazione ad una pretesa, prima facie, fondata. Per queste ragioni, il Tribunale rimettente, con l’ordinanza in epigrafe, da un lato, ha sospeso il giudizio e disposto l’immediata trasmissione degli atti a questa Corte, e, dall’altro, ha accolto la domanda incidentale di sospensione del provvedimento di esclusione della lista «ad tempus, fino alla restituzione degli atti del giudizio da parte della Corte costituzionale».

3. – In punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente ritiene che l’art. 83-undecies del d.P.R. n. 570 del 1960, limitando la proponibilità del giudizio contro l’atto di esclusione o di ammissione di una lista o di un candidato alle elezioni, vìoli gli artt. 3, 24, 48, 49, 51, 97 e 113 Cost.

3.1. – Ad avviso del Tribunale rimettente, gli artt. 24 e 113 Cost. sarebbero violati, in primo luogo, in quanto la norma, unico caso nell’ordinamento di preclusione processuale all’esercizio dell’azione in presenza di fatto o evento lesivo, costituirebbe una «limitazione del diritto di difesa a particolari mezzi di impugnazione (e cioè soltanto alla tutela di merito, con esclusione della tutela cautelare) ed a particolari categorie di atti (e cioè soltanto quelli conclusivi del procedimento), con esclusione di quelli endoprocedimentali immediatamente lesivi, posti in essere prima della proclamazione degli eletti nell’ambito del procedimento elettorale». In secondo luogo, la norma non consentirebbe la tutela cautelare nel giudizio elettorale, impedendo l’esperibilità di uno strumento di tutela, componente essenziale del diritto di difesa, senza che sussistano motivate ed effettive ragioni di tutela di interes si pubblici prevalenti su quest’ultimo diritto, costituzionalmente garantito.

3.2. – Gli artt. 48, 49 e 51 Cost. sarebbero violati, ad avviso del giudice a quo, con riguardo al diritto di elettorato passivo e attivo e al «diritto, connesso, di partecipare alla formazione della volontà politica dei corpi amministrativi locali». In questo caso, la norma, innanzitutto, limiterebbe il risarcimento in forma specifica (costituito dalla partecipazione al procedimento elettorale) di colui o coloro i quali sono stati lesi dal provvedimento illegittimo dell’autorità al solo rinnovo delle operazioni elettorali, non consentendo la immediata riammissione dell’escluso o la immediata esclusione dell’ammesso dal procedimento elettorale. Inoltre, la reiterazione delle elezioni, da un lato, sarebbe «sicuramente un impegno ed un onere rilevante che già di per sé incide, limitandolo senza ragione, sul diritto di elettorato passivo» e, dall’altro, determinerebbe una violazione del diritto di elettorato atti vo a causa dell’impatto negativo in termini di sfiducia da parte degli elettori nei confronti del sistema elettorale, concorrendo a scoraggiare l’affluenza alle urne e la partecipazione al voto. Infine, sotto il profilo dell’eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost., del principio di pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive e nell’esercizio del diritto di elettorato passivo, la norma viene censurata in quanto «nelle more del giudizio, chi ha ottenuto la vittoria nelle elezioni invalide continua a conservare l’amministrazione locale per un determinato periodo di tempo (il tempo necessario a concludere il processo), il che non è ovviamente senza effetto sul consolidamento di posizioni di vantaggio politico ottenute a danno di chi da quelle elezioni è stato illegittimamente escluso o, di chi, in esse, si è dovuto confrontare – subendoli – con candidati o formazioni che non avrebbero dovu to esservi ammessi».

3.3. – Il giudice rimettente lamenta, inoltre, la lesione degli artt. 3 e 97 Cost. L’art. 3 Cost. viene invocato per irrazionalità della norma, disparità di trattamento processuale e disparità di trattamento sostanziale tra i candidati alle elezioni locali. Ciò in quanto, in casi che, rispetto alla materia elettorale, sarebbero di altrettanta gravità ed importanza per l’interesse pubblico ad esse connesso, verso «gli atti endoprocedimentali immediatamente lesivi è oggi possibile una intensa e celere tutela sia cautelare che di merito, ed addirittura la tutela ante causam con la possibilità del ricorso al decreto monocratico» di cui all’art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei Tribunali amministrativi regionali). La norma, quindi, verrebbe a sacrificare i diritti effettivi di difesa non per assicurare la corretta consultazione elettorale e la correlativa volontà del corpo elet torale, ma solo per garantire la cadenza dei tempi procedurali e quindi, in definitiva, per tutelare il lavoro e l’attività degli organi preposti al governo del procedimento elettorale medesimo.

Con riguardo all’art. 97 Cost, in primo luogo, la norma determinerebbe un «deficit di tutela cautelare» che «impedisce alle parti di ottenere l’azione correttiva del giudice quando ancora è possibile intervenire per ripristinare la legittimità dell’azione amministrativa, a maggiore garanzia della stabilità del risultato elettorale e degli organi eletti in carica». In secondo luogo, «il differire l’impugnazione degli atti endoprocedimentali all’esito della competizione elettorale finisce con il fare gravare con assoluta sicurezza il rischio della invalidità dell’intero procedimento e della invalidità dell’insediamento dei nuovi organi rappresentativi, con necessità di ricorrere a gestioni commissariali che interrompono il naturale andamento del governo dell’ente locale».

4. – Con atto depositato il 6 ottobre 2009, si sono costituti in giudizio i ricorrenti nel giudizio principale, chiedendo che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma censurata. La memoria di costituzione riporta, innanzitutto, che, a seguito della ordinanza del giudice rimettente, la lista elettorale n. 12 denominata «Il Popolo della Libertà – Berlusconi per Vaccarezza» è stata riammessa alle elezioni provinciali di Savona del 6 e 7 giugno 2009. All’esito di esse, e del successivo ballottaggio, il Presidente dell’Ufficio elettorale centrale ha proclamato eletto alla carica di Presidente della Provincia di Savona il sig. Angelo Vaccarezza ed eletti alla carica di consiglieri provinciali dieci candidati della lista n. 12, tra i quali uno dei tre ricorrenti. L’avvenuto svolgimento della competizione elettorale, ad avviso dei ricorrenti, «non riverbera sulla fondatezza della questione», in quant o il giudice a quo deve ancora pronunciarsi sul merito del ricorso.

I ricorrenti, inoltre, rilevano che la norma censurata non affermerebbe in maniera inequivoca l’inammissibilità o l’improcedibilità – né vieterebbe espressamente la proposizione – del ricorso nei confronti degli atti del procedimento elettorale immediatamente lesivi. I ricorrenti aggiungono che la formula «operazioni per elezioni dei consiglieri comunali» dovrebbe essere riferita alle operazioni elettorali in senso stretto, quali, ad esempio, lo scrutinio delle schede, il conteggio dei voti, il riparto dei seggi, e non dunque ai provvedimenti di ammissione o di esclusione delle liste elettorali. Infine, viene ribadito che la norma censurata, così come interpretata dalla giurisprudenza amministrativa e in particolare dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella decisione n. 10 del 2005, produrrebbe l’effetto di comprimere il diritto – anch’esso costituzionalmente garantito – ad ot tenere un’adeguata e tempestiva tutela cautelare.

5. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, in subordine, manifestamente infondata.

La difesa dello Stato rileva, in primo luogo, che il giudice a quo, in sede cautelare, ha ammesso la lista in questione, disapplicando la norma censurata. La partecipazione alla competizione elettorale avrebbe così determinato il conseguimento dello scopo che i ricorrenti avevano perseguito, impugnando il provvedimento di esclusione, e avrebbe ormai esaurito i suoi effetti in modo irreversibile. Inoltre, essendosi svolte le elezioni e non essendo stata impugnata la pronuncia cautelare, né risultando proposte altre impugnative avverso la proclamazione degli eletti volte a contestare l’irregolarità della competizione a causa della partecipazione della lista ammessa in sede cautelare, la eventuale dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi nel merito non potrebbe determinare né l’operatività del provvedimento di esclusione, né la ripetizione della consultazione elettorale senza la partecipazione della lista. Di co nseguenza, ad avviso della Avvocatura generale dello Stato, la questione sarebbe priva del requisito della rilevanza, come del resto si sarebbe verificato in ipotesi analoga decisa da questa Corte con l’ordinanza n. 90 del 2009.

Nel merito, la difesa dello Stato sostiene la non fondatezza della questione. Il principio secondo cui l’impugnazione di operazioni elettorali è ammissibile solo dopo la proclamazione degli eletti, operante anche in materia di elezioni del Parlamento nazionale, dei membri del Parlamento europeo e dei Consigli regionali, troverebbe fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento elettorale sancite dall’art. 61 Cost. L’impugnazione dell’atto finale, inoltre, tutelerebbe pienamente le posizione dei soggetti che dovessero ritenersi lesi da atti intermedi del procedimento. Ne discende, pertanto, la legittimità costituzionale della disposizione, come interpretata dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 10 del 2005, posto che «la scelta effettuata dal legislatore di concentrare tutte le impugnative in una fase successiva allo svolgimento delle elezioni risponde anche all’esigenza di evitare l a proposizione di eventuali impugnative meramente strumentali e propagandistiche, senza per questo incidere negativamente sui menzionati diritti costituzionali».

6. – In data 18 maggio 2010, i ricorrenti nel giudizio a quo hanno depositato una memoria illustrativa, con la quale sono ribadite sia la rilevanza che la fondatezza della questione.

6.1. – Quanto alla rilevanza, si assume che debba essere respinta l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Avvocatura generale dello Stato, dal momento che il giudice a quo deve ancora pronunciarsi sul merito del ricorso. I ricorrenti, inoltre, riportano che il verbale di proclamazione degli eletti è stato impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Liguria da alcuni cittadini i quali hanno, tra l’altro, contestato la partecipazione alla tornata elettorale della lista n. 12 «Il Popolo della Libertà – Berlusconi per Vaccarezza». Con sentenza 21 gennaio 2010, n. 165, il Tar Liguria, sezione seconda, ha dichiarato inammissibile l’impugnativa, non avendo i ricorrenti instaurato correttamente il contraddittorio. Tale pronuncia, si legge nella memoria, non risulta essere ancora passata in giudicato. Ne deriva, pertanto, che «la decisione dell’incidente di costituzionalità è – e rimane – rilevante ai fini della definizione del giudizio a quo».

6.2. – Con riguardo alla fondatezza, i ricorrenti contestano la posizione espressa dalla Avvocatura generale dello Stato, in base alla quale la regola dell’impugnazione delle «operazioni elettorali» dopo la proclamazione degli eletti opererebbe anche per le elezioni del Parlamento nazionale, del Parlamento europeo e dei Consigli regionali. Queste disposizioni, infatti, si riferirebbero, ad avviso dei ricorrenti, all’impugnabilità delle «operazioni elettorali», che «costituiscono, concettualmente, qualcosa di diverso dai provvedimenti di esclusione delle liste dalla competizione elettorale, con la conseguenza che le relative discipline processuali non possono essere confuse o sovrapposte». Ad avviso dei ricorrenti, inoltre, il differimento dell’impugnativa ad un momento successivo alla proclamazione degli eletti non sarebbe un mero spostamento temporale di quella stessa azione giurisdizionale che avrebbe potuto essere esercitata ne ll’immediatezza dell’atto lesivo, ma implicherebbe l’instaurazione di una controversia finalizzata ad ottenere un «bene della vita» (il rifacimento delle elezioni) distinto rispetto a quello (riammissione della lista alla competizione elettorale) che si sarebbe chiesto se si fosse potuto contestare l’esclusione.

7. – In data 18 maggio 2010, il Presidente dal Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha depositato una memoria illustrativa, con la quale si conferma la richiesta di una dichiarazione di inammissibilità o, in subordine, di manifesta infondatezza della questione. La difesa dello Stato ribadisce che la norma censurata non escluderebbe né limiterebbe l’area di esercizio del potere cautelare, ma fisserebbe «un criterio di accorpamento di tutte le impugnative riferibili allo stesso procedimento elettorale, ragionevolmente giustificato dall’intendimento del legislatore di consentire lo svolgimento della consultazione elettorale nel termine stabilito». In generale, l’Avvocatura generale dello Stato contesta il complessivo impianto argomentativo dell’ordinanza di rimessione. Infatti, il legislatore, dopo aver tracciato una procedura improntata ai criteri di accentuate garanzi e di imparzialità e di obiettività, «avrebbe volutamente escluso la possibilità di intervento e di coinvolgimento del potere giudiziario amministrativo, prima dell’atto finale delle elezioni, in questioni connotate da caratteri eminentemente politici», perché «un intervento anticipato degli organi giurisdizionali amministrativi potrebbe provocare artificiose iniziative finalizzate alla strumentalizzazione di eventuali provvedimenti cautelari favorevoli o, comunque, necessitati rinvii delle elezioni, per consentire un minimo di par condicio nella campagna elettorale delle liste eventualmente riammesse negli ultimi giorni prima delle votazioni». La possibilità dell’intervento del giudice amministrativo nella fase prodromica del procedimento elettorale – conclude la difesa dello Stato – rischierebbe di creare dubbi ed incertezze nel corpo elettorale, che costituisce «il primo organo costituzionale, in quanto titolare della sovra nità popolare», sicché «anche per questa ragione, la scelta del legislatore, criticata dal giudice a quo, risulta invece pienamente giustificata, razionale e corretta sul piano costituzionale».

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale della Liguria, sezione seconda, con ordinanza del 28 maggio 2009, notificata il 12 giugno 2009, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 48, 49, 51, 97 e 113 della Costituzione, dell’art. 83-undecies del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), nella parte in cui esclude la possibilità di un’autonoma impugnativa degli atti endoprocedimentali del procedimento elettorale, ancorché immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti.

L’art. 83-undecies prevede, al comma primo, che «contro le operazioni per l’elezione dei consiglieri comunali, successive alla emanazione del decreto di convocazione dei comizi, qualsiasi cittadino elettore del Comune, o chiunque altro vi abbia diretto interesse, può proporre impugnativa davanti alla sezione per il contenzioso elettorale, con ricorso che deve essere depositato nella segreteria entro il termine di giorni trenta dalla proclamazione degli eletti».

Tale disposizione, secondo l’interpretazione assunta quale regola di «diritto vivente» dal giudice rimettente, escluderebbe l’autonoma impugnabilità di atti del procedimento elettorale immediatamente lesivi, come l’esclusione di liste o di candidati, la cui legittimità potrebbe così essere contestata solo in sede di impugnazione dell’atto conclusivo dell’intero procedimento, vale a dire la proclamazione degli eletti, così impedendo la tutela cautelare.

2. – Preliminarmente vanno disattese le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato.

2.1. – In primo luogo, non può essere accolta l’eccezione in base alla quale, «essendosi svolte le elezioni e non essendo stata impugnata la pronuncia cautelare, né risultando proposte altre impugnative avverso la proclamazione degli eletti volte a contestare l’irregolarità della competizione a causa della partecipazione della lista ammessa in sede cautelare, la eventuale dichiarazione di inammissibilità del ricorso nel merito non potrebbe determinare né l’operatività del provvedimento di esclusione, né la ripetizione della consultazione elettorale senza la partecipazione della lista». Il giudizio a quo, infatti, ha per oggetto gli atti di ricusazione di una lista da una competizione elettorale che, al momento in cui l’ordinanza di rimessione è stata emessa, non si era ancora svolta. Pertanto, l’avvenuto svolgimento della competizione elettorale, con la partecipazione della lista pres entata dai ricorrenti, non ha effetti sulla rilevanza della questione, in quanto il giudice a quo – che ha sospeso il giudizio in sede cautelare – deve ancora pronunciarsi sul merito del ricorso.

2.2. – In secondo luogo, non può ritenersi che il giudice a quo, ammettendo la lista dei ricorrenti, abbia esaurito il proprio potere cautelare, rendendo così inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione sollevata. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, «la potestas iudicandi non può ritenersi esaurita quando la concessione della misura cautelare è fondata, quanto al fumus boni iuris, sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, dovendosi in tal caso la sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato ritenere di carattere provvisorio e temporaneo fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l’incidente di legittimità costituzionale» (ordinanza n. 25 del 2006). Nel caso in questione, il Tribunale rimettente ha concesso la misura cautelare nel presupposto della non manifesta infondatezza della questione sollevata e «ad tempus», ossia «fino alla resti tuzione degli atti del giudizio da parte della Corte costituzionale». Il giudice a quo, pertanto, non ha esaurito la propria potestas iudicandi.

2.3. – La difesa dello Stato, inoltre, richiama l’ordinanza n. 90 del 2009, con cui questa Corte ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 83-undecies del d.P.R. n. 570 del 1960, ritenendo che il giudice a quo non avesse dimostrato la rilevanza della questione, in considerazione della circostanza che i ricorrenti nel giudizio principale avevano ottenuto «la tutela cautelare contro i provvedimenti di esclusione, con conseguente partecipazione della lista esclusa alla consultazione elettorale». In quella occasione, tuttavia, diversamente da quanto verificatosi nel presente giudizio, il Tribunale rimettente aveva sollevato la questione nella fase di merito e non in sede cautelare.

Con l’ordinanza n. 90 del 2009, questa Corte ha rilevato anche che lo stesso giudice a quo aveva posto in dubbio l’esistenza di un diritto vivente che precludesse l’impugnabilità immediata degli atti endoprocedimentali in materia elettorale, ancorché lesivi di situazioni soggettive di privati. Ciò non si riscontra nell’ordinanza di rimessione relativa al presente giudizio, nella quale il Tribunale rimettente sostiene, in modo plausibile, che l’interpretazione fornita dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato è regola di diritto vivente, e per questo solleva la questione di legittimità costituzionale dinanzi a questa Corte.

Anche in sede legislativa, del resto, successivamente all’ordinanza n. 90 del 2009, l’interpretazione della norma censurata fornita dalla decisione n. 10 del 2005 della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato è stata intesa quale regola di «diritto vivente», tanto che ne è stata proposta una modifica parziale: lo schema di Codice del processo amministrativo trasmesso alla Camera dei deputati il 30 aprile 2010, sulla base della delega legislativa di cui all’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitiva nonché in materia di processo civile), prevede, da un lato, l’abrogazione dell’art. 83-undecies del d.P.R. n. 570 del 1960 (All. 4, art. 2, comma 1, lett. b), e, dall’altro, la possibilità di impugnare immediatamente l’ammissione o la esclusione delle liste elettorali, senza attendere la proclamazione degli eletti (art. 129). Il citato art. 44 della legge n. 69 del 2009, infatti, ha delegato il Governo a «razionalizzare e unificare le norme vigenti per il processo amministrativo sul contenzioso elettorale, prevedendo il dimezzamento, rispetto a quelli ordinari, di tutti i termini processuali, il deposito preventivo del ricorso e la successiva notificazione in entrambi i gradi [...], mediante la previsione di un rito abbreviato in camera di consiglio che consenta la risoluzione del contenzioso in tempi compatibili con gli adempimenti organizzativi del procedimento elettorale e con la data di svolgimento delle elezioni».

3. – Nel merito, la questione è fondata.

Secondo quanto affermato da questa Corte, il potere di sospensione dell’esecuzione dell’atto amministrativo è «elemento connaturale» di un sistema di tutela giurisdizionale incentrato sull’annullamento degli atti delle pubbliche amministrazioni (sentenza n. 284 del 1974). Nel caso in questione, la posticipazione dell’impugnabilità degli atti di esclusione di liste o candidati ad un momento successivo allo svolgimento delle elezioni preclude la possibilità di una tutela giurisdizionale efficace e tempestiva delle situazioni soggettive immediatamente lese dai predetti atti, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 Cost. Infatti, posto che l’interesse del candidato è quello di partecipare ad una determinata consultazione elettorale, in un definito contesto politico e ambientale, ogni forma di tutela che intervenga ad elezioni concluse appare inidonea ad evitare che l’esecuzione del provvedimento ille gittimo di esclusione abbia, nel frattempo, prodotto un pregiudizio.

3.1. – Una simile compressione della tutela giurisdizionale non può trovare giustificazione nelle peculiari esigenze di interesse pubblico che caratterizzano il procedimento in materia elettorale. A tal riguardo, è necessario distinguere tra procedimento preparatorio alle elezioni, nel quale è inclusa la fase dell’ammissione di liste o di candidati, e procedimento elettorale, comprendente le operazioni elettorali e la successiva proclamazione degli eletti. Gli atti relativi al procedimento preparatorio alle elezioni, come l’esclusione di liste o di candidati, debbono poter essere impugnati immediatamente, al fine di assicurare la piena tutela giurisdizionale, ivi inclusa quella cautelare, garantita dagli artt. 24 e 113 Cost. Lo stesso legislatore, del resto, con la disposizione dell’art. 44 della legge n. 69 del 2009, ha delegato il Governo ad adottare norme che consentano l’autonoma impugnabilità degli atti c osiddetti endoprocedimentali immediatamente lesivi di situazioni giuridiche soggettive.

3.2. – Né può accogliersi la tesi, sostenuta dalla difesa dello Stato, in base alla quale la regola della non impugnabilità dei provvedimenti di esclusione delle liste elettorali sarebbe necessariamente imposta dalle esigenze di speditezza del procedimento elettorale sancite dall’art. 61 Cost. Tale disposizione costituzionale si riferisce alle elezioni delle Camere e non afferma espressamente un principio di speditezza, né tanto meno una prevalenza di detto principio sul diritto, garantito dagli artt. 24 e 113 Cost., a una tutela giurisdizionale piena e tempestiva contro gli atti della pubblica amministrazione.

3.3. – Deve rilevarsi, inoltre, che gli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, riconoscono, tra l’altro, un diritto ad un ricorso effettivo, che verrebbe vanificato laddove l’art. 83-undecies del d.P.R. n. 570 del 1960 fosse inteso nel senso di escludere l’impugnabilità immediata degli atti relativi al procedimento preparatorio alle elezioni, come l’esclusione di liste o di candidati, che siano immediatamente lesivi di situazioni giuridiche soggettive.

3.4. – Né può sostenersi, infine, la tesi della difesa dello Stato in base alla quale la possibilità dell’intervento del giudice amministrativo nella fase iniziale del procedimento elettorale rischierebbe di creare incertezze nel corpo elettorale, che costituisce «il primo organo costituzionale, in quanto titolare della sovranità popolare». A prescindere dalla circostanza che la sovranità popolare è esercitata «nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1, secondo comma, Cost.), il sindacato giurisdizionale sugli atti immediatamente lesivi relativi al procedimento preparatorio alle elezioni rappresenta una garanzia fondamentale per tutti i cittadini. In un ordinamento democratico, infatti, la regola di diritto deve essere applicata anche a tali procedimenti e, a questo fine, è essenziale assicurare una tutela giurisdizionale piena e tempestiva, nel rispetto degli artt. 24 e 113 Cost.

4. – Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 83-undecies del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, nella parte in cui esclude la possibilità di un’autonoma impugnativa degli atti del procedimento preparatorio alle elezioni, ancorché immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti.

Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura dedotti dal giudice rimettente.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 83-undecies del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), nella parte in cui esclude la possibilità di un’autonoma impugnativa degli atti del procedimento preparatorio alle elezioni, ancorché immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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ORDINANZA N. 237

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), promosso dalla Corte d’appello di Bari nel procedimento penale a carico di G.V.F. con ordinanza del 20 novembre 2009, iscritta al n. 20 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 maggio 2010 il giudice relatore Giuseppe Tesauro.

Ritenuto che la Corte d’appello di Bari, con ordinanza del 20 novembre 2009, iscritta al r.o. n. 20 del 2010, ha sollevato, in riferimento all’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, approvata a Nizza il 7 dicembre 2000 (infra: Carta di Nizza) ed all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 19, comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non attribuisce la facoltà di chiedere l’espiazione della pena in Italia allo straniero cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, che ivi sia residente, nel caso in cui il mandato d’arresto europeo abbia ad oggetto l’esecuzione di una pena;

che il giudice a quo espone che G.V.F., cittadino romeno, è stato attinto da un mandato di arresto emesso dalla Pretura di Pitesti (Romania), in esecuzione della sentenza di condanna alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, per il reato di furto commesso in concorso con altri in danno di B.I.L. pronunciata in data 27 aprile 2005, confermata in appello dal Tribunale di Arges con sentenza del 13 ottobre 2005;

che, a suo avviso, la consegna di G.V.F. «è consentita sul piano formale, essendo stata allegata copia della sentenza di condanna a pena detentiva, che ha dato luogo alla richiesta stessa (art. 6, comma 3, legge n. 50 del 2005 – recte: n. 69 del 2005–)», rientrando il reato per il quale è stata pronunciata la condanna tra quelli «per i quali è prevista […] la consegna obbligatoria, ai sensi della lettera t) dell’art. 8, legge n. 69 del 2005».

che G.V.F. si è, però, opposto alla consegna e, con dichiarazione resa in data 30 ottobre 2009 in sede di identificazione, ha chiesto, in quanto residente da tempo in Italia unitamente alla famiglia ed ai figli che qui studiano, di espiare la pena nel nostro Paese, reiterando tale istanza nelle successive memorie difensive, invocando a conforto la tutela del lavoro, della famiglia e della salute, in considerazione delle patologie dalle quali è affetto;

che, a giudizio del rimettente, l’art. 19, comma 1, lettera c), della legge n. 69 del 2005, prevedrebbe per il cittadino non italiano, ma ivi residente, la possibilità di espiare la pena nel nostro Paese, «nel solo caso di condanna non ancora pronunciata» e di mandato d’arresto europeo cosiddetto «processuale», quindi non nel caso in cui detto mandato concerna una sentenza di condanna definitiva già intervenuta, con la conseguenza che la domanda di G.V.F. non può essere accolta;

che siffatta disciplina sarebbe ingiustificata, alla luce della decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002, n. 2002/584/GAI, «Decisione quadro del Consiglio relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri» (in seguito denominata decisione quadro) e dei principi generali dell’ordinamento italiano e comunitario di eguaglianza, di libertà di circolazione e di stabilimento dei cittadini comunitari, nonché di quelli che tutelano l’unità della famiglia ed i diritti del bambino a mantenere rapporti stabili con entrambi i genitori;

che, infatti, prosegue la Corte d’appello, l’art. 4, punto 6, della citata Decisione quadro stabilisce che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato di arresto europeo, se esso «è stato rilasciato ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno».

che, nondimeno, secondo il rimettente, qualora uno Stato «decida di recepire il principio di rifiuto della consegna per esecuzione della pena o misura di sicurezza nel proprio territorio ed alla stregua del proprio ordinamento, deve attuare tale recepimento con riferimento ad ogni caso previsto dalla stessa decisione-quadro, e senza disparità di trattamento, ingiustificato, alla luce del principio di eguaglianza» e «senza ledere gli altri diritti fondamentali» della persona, quali tutelati dalle norme dell’Unione europea e dell’ordinamento interno;

che, ad avviso del rimettente, la norma impugnata avrebbe dato attuazione solo in parte all’art. 4 della Decisione quadro, limitando la possibilità di rifiutare la consegna dello straniero residente nello Stato nel solo caso di mandato d’arresto processuale, realizzando in tal modo una ingiustificata disparità di trattamento;

che, tra i diritti fondamentali recepiti e tutelati nel Trattato europeo e, per il richiamo da esso effettuato nell’art. 6, «appaiono significativi e vincolanti ai fini del riconoscimento indifferenziato del diritto di espiare la pena nello Stato di dimora, come indicato dalla decisione-quadro», in primo luogo, il diritto di libertà di stabilimento (artt. 49 e seguenti del Trattato UE), in virtù del quale ogni cittadino comunitario può stabilire il proprio centro di interessi lavorativi (per attività industriali, commerciali, artigianali o professionali, art. 57 del Trattato) in qualunque Stato dell’Unione, essendo vietato agli Stati membri di frapporre ostacoli o restrizioni al suo esercizio (salvo per ragioni di ordine pubblico, sicurezza pubblica o sanità pubblica, non pertinenti nel caso in esame).

che, tale diritto sarebbe, peraltro, sancito anche dall’art. 15, comma 2, della Carta di Nizza e tutelato dall’art. 16 Cost.;

che, a giudizio della Corte di appello, nel caso di specie vengono in rilievo anche: il diritto di costituirsi una famiglia e di stabilirsi con questa in qualunque Stato dell’Unione europea, risultando la famiglia tutelata dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo delle libertà fondamentali, e successive modificazioni, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), dagli artt. 7 e 9 della Carta di Nizza e dagli artt. da 29 a 31 Cost., nonchè il diritto del bambino a mantenere rapporti affettivi con entrambi i genitori, previsto e tutelato dall’art. 24 della Carta di Nizza;

che l’impugnato art. 19, comma 1, lettera c), della legge n. 69 del 2005, nella parte in cui, non attribuendo la facoltà di chiedere l’espiazione della pena in Italia allo straniero cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, che ivi sia residente, nel caso in cui il mandato d’arresto europeo abbia ad oggetto l’esecuzione di una pena, violerebbe l’art. 20 della Carta di Nizza e l’art. 3 Cost.;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile ed infondata, rammentando che nella specie la norma applicabile sarebbe l’art. 18, comma 1, lettera r), della legge n. 69 del 2005, e che sarebbe quindi irrilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera c), della stessa legge.

Considerato che la questione di legittimità costituzionale ha ad oggetto l’art. 19, comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non attribuisce la facoltà di chiedere l’espiazione della pena in Italia allo straniero cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, che ivi sia residente, nel caso in cui il mandato d’arresto europeo abbia ad oggetto l’esecuzione di una pena;

che il giudizio principale ha ad oggetto un mandato di arresto europeo cosiddetto in executivis, che, secondo il diritto vivente, è disciplinato esclusivamente dall’art. 18 della legge n. 69 del 2005;

che la norma applicabile al caso di specie è quindi l’art. 18, comma 1, lettera r), la quale prevede che, se il mandato d’arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, la corte di appello può disporre che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al diritto interno, «qualora la persona ricercata sia cittadino italiano»;

che la Corte d’appello di Bari ha, invece, censurato l’art. 19 di detta legge, che, come risulta dalla lettera della norma, concerne soltanto la persona giudicanda (cittadino o residente dello Stato), e per la quale è appunto in corso l’azione penale;

che la questione è dunque manifestamente inammissibile in quanto ha ad oggetto una norma che non deve essere applicata nel giudizio principale (ex multis ordinanze n. 256 del 2009 e n. 265 del 2008).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, ed all’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza), dalla Corte d’appello di Bari con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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ORDINANZA N. 238

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 34 della legge della Regione Toscana 21 novembre 2008, n. 62 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2008), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 27-30 gennaio 2009, depositato in cancelleria il 2 febbraio 2009 ed iscritto al n. 7 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;

udito nella camera di consiglio del 26 maggio 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.

Ritenuto che, con ricorso notificato il 27 gennaio 2009 e depositato il successivo 2 febbraio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, l’art. 34 della legge della Regione Toscana 21 novembre 2008, n. 62 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2008);

che tale articolo, sostituendo l’art. 12-bis della legge regionale 11 dicembre 1998, n. 91 (Norme per la difesa del suolo), ha previsto, al comma 4, lettera h), che la Regione emani un regolamento per «la definizione di criteri per il riuso delle acque», così ponendosi – ad avviso del ricorrente – in contrasto con l’art. 99, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), il quale affiderebbe alla competenza legislativa regionale unicamente l’adozione di «norme e misure volte a favorire il riciclo dell’acqua e il riutilizzo delle acque reflue depurate»;

che, inoltre, la disposizione impugnata prevederebbe l’esercizio della potestà regolamentare regionale «anche», anziché «esclusivamente», in attuazione di quanto previsto dall’articolo 99 del d.lgs. n. 152 del 2006;

che, pertanto, ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe, sotto entrambi i profili, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema;

che si è costituita in giudizio la Regione Toscana eccependo l’infondatezza delle censure in quanto la norma impugnata sarebbe stata emanata nell’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di governo del territorio e nel pieno rispetto dei principi posti dal legislatore statale;

che, in data 1° marzo 2010, l’Avvocatura generale dello Stato, nell’interesse del Presidente del Consiglio dei ministri, ha depositato atto di rinuncia al ricorso, in considerazione dell’entrata in vigore dell’art. 88 della legge della Regione Toscana 14 dicembre 2009, n. 75 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2009), che ha modificato, successivamente al ricorso, l’art. 34 della citata legge regionale n. 62 del 2008;

che in data 3 marzo 2010 la difesa della Regione ha depositato atto di accettazione della rinuncia;

che, pertanto, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, la rinuncia al ricorso comporta, nel caso di specie, l’estinzione del processo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara estinto il processo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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ORDINANZA N. 239

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 1, lettera a), e 21, comma 2, lettera c), della legge della Regione Calabria 17 agosto 2009, n. 28 (Norme per la promozione e lo sviluppo della cooperazione sociale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 19-22 ottobre 2009, depositato in cancelleria il 26 ottobre 2009 ed iscritto al n. 97 del registro ricorsi 2009.

Udito nella camera di consiglio del 26 maggio 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.

Ritenuto che, con ricorso notificato il 19-22 ottobre 2009 e depositato il successivo 26 ottobre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 1, lett. a), e 21, comma 2, lett. c), della legge della Regione Calabria 17 agosto 2009, n. 28 (Norme per la promozione e lo sviluppo della cooperazione sociale);

che, in particolare, l’impugnato art. 13, comma 1, lett. a), attribuisce agli organi regionali e locali il compito di individuare e definire «[…] nuovi profili professionali nell’ambito delle attività di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati» e che il successivo art. 21, comma 2, lett. c), prevede interventi di sostegno diretti a favorire, attraverso appositi progetti formativi, «processi di riqualificazione tecnico-professionale del personale direttamente impiegato nell’attività propria della cooperativa, anche in relazione a nuove disposizioni normative in materia di profili professionali […]»;

che, secondo il ricorrente, le disposizioni impugnate, nel prevedere la creazione da parte degli organi regionali e locali di nuove figure professionali, nonché la promozione di corsi di riqualificazione abilitanti «anche in relazione a nuove disposizioni normative» di carattere regionale in materia di profili professionali, si porrebbero in contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto, secondo la giurisprudenza costituzionale, spetta allo Stato l’individuazione di nuove figure professionali e la disciplina dei relativi profili, nonché degli ordinamenti didattici;

che la Regione Calabria non si è costituita in giudizio;

che, con atto depositato in data 23 marzo 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato di rinunciare al ricorso stante l’adozione della legge regionale 28 dicembre 2009, n. 55 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 17 agosto 2009, n. 28 «Norme per la formazione e lo sviluppo della cooperazione sociale»), con la quale la Regione Calabria ha modificato le disposizioni censurate.

Considerato che, in mancanza di costituzione in giudizio della parte resistente, la rinuncia determina, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l’estinzione del processo (ex plurimis, tra le più recenti: ordinanze n. 79 e n. 14 del 2010).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara estinto il processo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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ORDINANZA N. 240

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 3, e 6, comma 2, della legge della Regione Calabria 19 ottobre 2009, n. 35 (Procedure per la denuncia, il deposito e l’autorizzazione di interventi di carattere strutturale e per la pianificazione territoriale in prospettiva sismica), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 17-22 dicembre 2009, depositato in cancelleria il 22 dicembre 2009 ed iscritto al n. 105 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Calabria;

udito nell’udienza pubblica dell’8 giugno 2010 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

udito l’avvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che con ricorso notificato il 22 dicembre 2009 ed in pari data depositato nella cancelleria di questa Corte (reg. ric. n. 105 del 2009), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato in via principale, a seguito di delibera governativa dell’11 dicembre 2009, questione di legittimità costituzionale degli articoli 3, comma 3, e 6, comma 2, della legge della Regione Calabria 19 ottobre 2009, n. 35 (Procedure per la denuncia, il deposito e l’autorizzazione di interventi di carattere strutturale e per la pianificazione territoriale in prospettiva sismica), affermandone il contrasto con l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione;

che l’art. 3 della legge regionale impugnata, dopo aver disposto, al comma 1, che qualsiasi intervento edilizio in zone sottoposte alle norme sismiche necessita di autorizzazione da parte del competente Servizio tecnico regionale, prevede, al successivo comma 3, l’esclusione dell’autorizzazione sismica per i progetti presentati dalla s.p.a. Ferrovie dello Stato;

che, ad avviso del ricorrente, tale disposizione determina una deroga all’obbligo di attenersi a specifiche norme tecniche di costruzione per ogni tipo di intervento da realizzarsi in zone sismiche, contenuto nell’art. 83 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia): di qui il contrasto con l’art. 88 del d.P.R. n. 380 del 2001, che non contempla tale deroga, prevedendo, altresì, l’attribuzione allo Stato, e per esso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, della possibilità di concedere deroghe all’osservanza delle norme tecniche di cui all’art. 83, previa apposita istruttoria da parte dell’ufficio periferico competente ed il parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici;

che, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il conferimento, al Ministro, del potere di deroga all’osservanza di dette norme tecniche garantisce l’applicazione, in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, di una normativa avente particolari e delicati riflessi sulla tutela della pubblica incolumità: le richiamate norme statali contenute nel d.P.R. n. 380 del 2001 costituirebbero, dunque, principi fondamentali, vincolanti la potestà legislativa regionale, in materia di “governo del territorio”, ai sensi dell’art. 117, comma terzo, Cost.;

che l’art. 6, comma 2, della medesima legge regionale stabilisce che, nel caso di opere di sopraelevazione, al progetto esecutivo deve essere allegato un certificato redatto dal progettista, il quale sostituisce la certificazione del competente ufficio tecnico regionale;

che questa disposizione, ad avviso dell’Avvocatura erariale, contrasta con il principio fondamentale, desumibile dall’art. 90, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, che, invece, autorizza dette sopraelevazioni solo previa certificazione del competente ufficio tecnico regionale che specifichi il numero massimo di piani realizzabili in sopraelevazione;

che poiché gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla tutela della salute e dell’incolumità pubblica non possono essere sottoposti a discipline derogatorie ed a sistemi di controllo semplificato, anche questa norma statale dovrebbe essere considerata principio fondamentale, vincolante la potestà legislativa regionale, in materia di “governo del territorio”, ai sensi dell’art. 117, comma terzo, Cost.;

che nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituita la Regione Calabria, la quale ha concluso perché sia dichiarata cessata la materia del contendere e, comunque, inammissibile il ricorso o, in subordine, non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri;

che la Regione Calabria rileva che la previsione derogatoria contenuta nel censurato comma 3 dell’art. 3 della legge regionale n. 35 del 2009 è stata, successivamente alla proposizione del ricorso, abrogata dall’art. 1, comma l, della legge della Regione Calabria 5 gennaio 2010, n. 1 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 19 ottobre 2009, n. 35, recante «Procedure per la denuncia, il deposito e l’autorizzazione di interventi di carattere strutturale e per la pianificazione territoriale in prospettiva sismica»);

che anche l’altra disposizione impugnata è stata modificata dalla legge regionale n. 1 del 2010: l’art. 2 della legge regionale n. 1 del 2010 ha infatti aggiunto, all’art. 6, comma 2, della legge regionale n. 35 del 2009, dopo le parole «La predetta certificazione», la parola «non», sicché la nuova formulazione della disposizione impugnata risulterebbe pienamente rispettosa della prescrizione contenuta nell’art. 90, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, perché il certificato redatto dal progettista non sostituisce la certificazione del competente ufficio tecnico regionale.

Considerato che, con atto notificato in data 20 aprile 2010 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 3 maggio 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato di rinunciare al ricorso, a seguito della delibera adottata dal Consiglio dei ministri nella seduta del 16 aprile 2010;

che nella relazione allegata alla indicata delibera si dà atto che sono venute meno le motivazioni del ricorso, essendo stata una delle due disposizioni impugnate abrogata e l’altra radicalmente modificata ad opera della legge della Regione Calabria 5 gennaio 2010, n. 1;

che la rinuncia è stata formalmente accettata dalla Regione Calabria con atto notificato il 1° giugno 2010 e depositato l’8 giugno 2010, a seguito di delibera n. 394 della Giunta regionale in data 24 maggio 2010;

che, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la rinuncia al ricorso, seguita dall’accettazione della controparte, comporta l’estinzione del processo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara estinto il processo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedentePronuncia successiva

ORDINANZA N. 241

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, e 9, comma 1, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, promosso dal Tribunale di Salerno nel giudizio vertente tra il Commissario straordinario di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania e la Presidenza del Consiglio dei ministri, da un lato, ed il Comune di Serre ed altre parti, dall’altro, con ordinanza del 13 maggio 2009, iscritta al n. 43 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2010 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto che, con ordinanza del 13 maggio 2009, il Tribunale di Salerno ha sollevato, in relazione agli artt. 2, 3, 9, 24, 32, 100, 101, 102, 103,104, 111, 113, 114, 117 e 118 della Costituzione, questioni di legittimità degli artt. 4, comma 2, e 9 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123;

che l’art. 4, comma 2, del d.l. n. 90 del 2008 prevede che le misure cautelari, adottate da una autorità giudiziaria diversa da quella di cui al comma 1 − e cioè diversa dal giudice amministrativo, al quale è attribuita la giurisdizione esclusiva per tutte le controversie, ivi comprese quelle relative alla fase cautelare ed ai «diritti costituzionalmente tutelati», «comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti dell’amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati» – cessano di avere effetto, ove non riconfermate, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, dalla suddetta autorità giudiziaria competente;

che l’art. 9 del medesimo d.l. n. 90 del 2008 autorizza, al comma 1, la realizzazione di siti da destinare a discarica presso alcuni Comuni della Regione Campania e, tra questi, presso il Comune di Serre, località Valle della Masseria, allo scopo di consentire lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nella suddetta Regione;

che il giudice a quo premette, in punto di fatto, che: a) il Comune di Serre – adducendo il pericolo imminente di un danno grave ed irreparabile alla salubrità ambientale ed alla salute dei cittadini – aveva sollecitato, con ricorso del 5 febbraio 2007, proposto davanti al Tribunale di Salerno ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, l’emissione di un provvedimento che inibisse al Commissario straordinario di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania la costruzione e messa in opera di una discarica in località “Valle della Masseria” dello stesso Comune; b) nel corso di tale procedimento cautelare, detto Commissario aveva eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adíto e l’infondatezza della domanda; c) il provvedimento del Tribunale con il quale, in data 28 aprile 2007, era stato accolto il ricorso del Comune, era stato confermato dallo stesso Tribunale in sede di reclamo ed era stato successivamente impugnato dal suddetto Commissario straordinario mediante ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., con contestuale richiesta di regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 cod. proc. civ.; d) la Corte di cassazione, con sentenza resa a sezioni unite il 28 dicembre 2007, n. 27187, aveva dichiarato improponibile il ricorso straordinario presentato ai sensi dell’art. 111 Cost. ed inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione; e) la stessa Corte, con la medesima sentenza, aveva enunciato d’ufficio – «nell’interesse della legge», ai sensi dell’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ. – il duplice principio di diritto secondo cui: e.1.) nella specie, l’eventuale controversia di merito, «tendendo ad inibire la collocazione su un’area sita nel Comune di Serre dell’opera pubblica particolare costituita dalla discarica», atteneva «all̵ 7;uso o gestione del territorio regionale» ed era, pertanto, «da quali ficare “urbanistica” o edilizia», come tale «regolata, sul piano della tutela giurisdizionale, dal […] d.lgs. n. 80 del 1998, art. 34, comma 1, come successivamente modificato», attributivo al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva; e.2.) «Anche in materia di diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, quali il diritto alla salute (art. 32 Cost.), allorché la loro lesione sia dedotta come effetto di un comportamento materiale, espressione di poteri autoritativi e conseguente ad atti della P.A., di cui sia denunciata l’illegittimità, in materie riservate alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, come ad esempio in quella di gestione del territorio, compete a detti giudici la cognizione esclusiva delle relative controversie e circa la sussistenza in concreto dei diritti vantati e il contemperamento o la limitazione dei suddetti diritti in rapporto all’interesse generale pubblico all’ambiente salub re e l’emissione di ogni provvedimento cautelare, per assicurare provvisoriamente gli effetti della futura decisione finale sulle richieste inibitorie, demolitorie ed eventualmente risarcitorie dei soggetti che deducono di essere danneggiati da detti comportamenti o provvedimenti»; f) nelle more di tale giudizio presso il giudice della legittimità, il Commissario straordinario di Governo e la Presidenza del Consiglio dei ministri avevano instaurato il giudizio di merito dinanzi al Tribunale di Salerno; g) nel corso di tale giudizio di merito, era stato emanato il censurato art. 4, comma 2, del d.l. n. 90 del 2008, in applicazione del quale il TAR del Lazio, dapprima, ed il Consiglio di Stato, successivamente, avevano dichiarato di non riconfermare il provvedimento adottato dal Tribunale di Salerno;

che il giudice a quo premette altresí, in punto di diritto, di avere giurisdizione nel giudizio di merito instaurato a séguito della concessione del provvedimento cautelare;

che, in proposito, il Tribunale rimettente argomenta che: a) la giurisdizione devoluta in via esclusiva al giudice amministrativo dall’art. 4, comma 1, del d.l. n. 90 del 2008 nella materia de qua «non può in alcun modo influire» sul giudizio in corso, trattandosi di normativa entrata in vigore dopo l’instaurazione del giudizio stesso e priva di efficacia retroattiva; b) non spiega efficacia vincolante il citato principio di diritto pronunciato ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ. dalla Corte di cassazione, perché esso «non può rivestire che il valore di precedente»; c) il Comune di Serre ha dedotto in giudizio «una posizione giuridica avente il rango di diritto soggettivo assoluto […] incomprimibile», quale il diritto alla salute, e, pertanto, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, «restando del tutto privi di rilevanza, perché disapplicabili dal giudice ordinario, eventuali provvedimenti illegittimi p osti in essere dall’autorità amministrativa»;

che, secondo il giudice a quo, non è fondata l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del Comune di Serre, perché la pretesa azionata, avendo ad oggetto il diritto alla salute dell’intera collettività, è deducibile anche dall’ente esponenziale della comunità territoriale;

che, in ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni relative all’art. 4, comma 2, del d.l. n. 90 del 2008, come convertito dalla legge n. 123 del 2008, il rimettente denuncia plurime violazioni di parametri costituzionali;

che, in particolare, tale disposizione violerebbe: a) gli artt. 101 e 104 Cost., perché la cessazione dell’efficacia dei provvedimenti cautelari adottati dal Tribunale di Salerno per effetto della mancata loro riconferma da parte del giudice amministrativo – cioè da parte di un giudice non appartenente «allo stesso plesso giurisdizionale» – contrasta con il principio dell’indipendenza funzionale dei giudici nei confronti sia di organi esterni, sia degli altri giudici; b) l’art. 102 Cost., perché – demandando «ad un organo appartenente ad un diverso plesso giurisdizionale […] il riesame di un provvedimento emesso dal giudice ordinario» − si pone in contrasto con il principio «della tendenziale unità della giurisdizione» e con il principio secondo cui la funzione giurisdizionale deve essere esercitata, di regola, dalla magistratura ordinaria; c) gli artt. 100, 103 e 113 Cost., perché reali zza una illegittima estensione dell’àmbito della giurisdizione amministrativa; d) gli artt. 111, settimo comma, e 3 Cost., perché – prevedendo il riesame, da parte del giudice amministrativo indicato come competente, dei provvedimenti cautelari emessi da qualsiasi altra autorità giudiziaria – lede la «funzione di organo di vertice delle giurisdizioni» della Corte di cassazione, sancita dall’ordinamento per tutelare la certezza del diritto, l’unità del diritto oggettivo nazionale e l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; e) gli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, Cost., perché − imponendo alla parte che ha già «esperito con successo la tutela cautelare in tutti i gradi previsti dalla legge per il giudizio dinanzi al giudice ordinario, l’onere di richiedere, perfino dopo che il provvedimento ha superato il vaglio della Corte suprema, la conferma dello stesso da parte di un giudice appartenen te ad un diverso plesso giurisdizionale − contrasta con il princ ipio della parità delle parti del processo (art. 111, secondo comma, Cost.), «inteso come principio della parità delle opportunità e degli oneri difensivi (artt. 3 e 24, Cost.)»; f) l’art. 3 Cost., perché – imponendo, per i soli provvedimenti cautelari adottati in materia di gestione dei rifiuti, «l’esperimento di un ulteriore, anomalo, grado di giudizio» – lede il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; g) l’art. 3 Cost., perché, irragionevolmente: g.1.) non si limita a prevedere una competenza speciale, ma «introduce una nuova forma di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le sole cause instaurate dopo l’entrata in vigore di tale normativa»; g.2.) sottopone indiscriminatamente alla conferma del TAR anche le misure cautelari già emesse e perfino quelle rese dal giudice ordinario; g.3.) sottrae al giudice del merito − che resta, per i giudizi in corso, quello ordinar io − qualsiasi potere di intervento (modifica o revoca) di un provvedimento cautelare da lui emesso, demandandolo, invece, ad un giudice che appartiene ad un diverso ordine giurisdizionale; g.4.) non limita tale impropria forma di controllo ai soli provvedimenti cautelari emessi in prime cure e non ancora oggetto di gravame, ma la estende anche ai provvedimenti cautelari contro i quali sono stati esperiti tutti i rimedi processuali previsti; g.5.) non configura tale forma di controllo quale impugnazione, considerato che «interessato a provocarlo è la parte vittoriosa nella fase cautelare», su cui incombe l’onere di evitare la caducazione del provvedimento cautelare medesimo; g.6.) prevede tale forma di controllo solo in caso di adozione del provvedimento cautelare e non in caso di diniego della misura cautelare, con «un’innegabile privilegio processuale per le amministrazioni che si occupano della gestione dei rifiuti, evidentemente controinteressate all’adozione di provvedimenti che inibiscano la realizzazione di discariche»;

che, in ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni relative alla seconda delle disposizioni denunciate (cioè, all’art. 9, comma 1, del d.l. n. 90 del 2008), il giudice a quo deduce che detta disposizione, localizzando la discarica nella località Valle della Masseria del Comune di Serre, víola: a) l’art. 32 Cost., perché crea il «pericolo di una negativa incidenza […] sul diritto alla salute dei cittadini», consistente in un maggior rischio «di patologie cardiovascolari, urogenitali ed al sistema nervoso, nonché dei tumori, derivanti dalla vicinanza a discariche»; b) gli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., perché – in quanto lesiva del diritto alla salute – si pone in contrasto con un diritto inviolabile della persona costituzionalmente garantito e, di conseguenza, con il principio per cui la potestà legislativa dello Stato deve espletarsi «nel rispetto della Costituzione»; c) l’ art. 9 Cost., perché riguarda una località «di eccezionale valore naturalistico», riconosciuto a livello comunitario ed internazionale e, pertanto, contrasta con il principio della tutela del paesaggio; d) gli artt. 9, 114 e 118 Cost., perché «viene ad incidere su un unicum che sottende un’identità storica, culturale ed economica di eccezionale valore, costituzionalmente protetta»; e) l’art. 3 Cost., perché, in contrasto con i princípi della ragionevolezza e dell’uguaglianza sostanziale dei cittadini, prevede la realizzazione di una seconda discarica nella medesima località in cui è già operante una discarica dei rifiuti solidi di tutta la Regione;

che il rimettente, nel corpo dell’argomentazione di una delle suddette censure riguardanti l’art. 9, comma 1, afferma che la realizzazione di una discarica nel Comune di Serre, località Valle della Masseria − autorizzata dalla disposizione denunciata − integra una «questione che può comportare una disapplicazione della norma in questione nel presente di giudizio di merito, ma che non dà luogo a questione di costituzionalità», perché «in contrasto con specifiche norme comunitarie»;

che, a tale riguardo, il rimettente osserva che il punto 1.1. dell’art. 1 dell’allegato 1 al decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 (Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti), dispone che, di norma, i siti idonei alla realizzazione di un impianto di discarica per rifiuti inerti non devono ricadere, tra l’altro, in territori sottoposti a tutela ai sensi dell’articolo 146 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali);

che quest’ultima disposizione − prosegue il giudice a quo − fa riferimento, alla lettera i), alle zone umide incluse nell’elenco previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448 (Esecuzione della convenzione relativa alle zone umide d’importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici, firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971), nell’àmbito delle quali è compresa − afferma ancora il ricorrente − anche quella di Persano «a ridosso dell’area individuata per la realizzazione della discarica»;

che, quanto alla affermata rilevanza di tutte le sollevate questioni di legittimità costituzionale, il giudice a quo argomenta che: a) benché il giudizio di merito instaurato dopo l’adozione di un provvedimento cautelare «non si atteggi come un vero e proprio giudizio di convalida (…) della misura cautelare, tuttavia è innegabile che esso investa anche il provvedimento cautelare, le cui vicende sono strettamente connesse al giudizio di merito»; b) infatti, in caso di rigetto totale o parziale della domanda di merito, la misura cautelare perde efficacia ed il giudice di merito deve dare le disposizioni necessarie per il ripristino della situazione precedente (art. 669-nonies, terzo comma, cod. proc. civ.); c) in caso di accoglimento della domanda di merito, parimenti, la misura cautelare in precedenza concessa «sopravvive e non viene assorbita dalla decisione di merito favorevole»; d) nel giudizio a quo, le parti hanno chiesto «emett ersi opposte pronunce sul provvedimento cautelare», cioè, rispettivamente, la caducazione e la conferma;

che si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che tutte le questioni prospettate siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate;

che la difesa dello Stato afferma, innanzitutto, che le questioni prospettate sono inammissibili per difetto di rilevanza, posto che il giudizio a quo non può che concludersi «con una pronunzia di difetto di giurisdizione dell’AGO»;

che, in proposito, l’Avvocatura argomenta che: a) le sezioni unite della Corte di cassazione hanno già statuito, sia pure con lo strumento di cui all’art. 363 cod. proc. civ., che il Tribunale di Salerno difetta di giurisdizione; b) la realizzazione di una discarica di rifiuti rientra nell’«uso del territorio» e la gestione dei rifiuti rientra tra i «pubblici servizi», con la conseguenza che le controversie che ineriscono all’uno ed agli altri rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; c) l’art. 4 del d.l. n. 90 del 2008, nell’attribuire la giurisdizione esclusiva della complessiva azione di gestione dei rifiuti al giudice amministrativo, non è norma innovativa, «bensí norma che meramente ribadisce principi di diritto preesistenti» ed il cui contenuto è stato ritenuto dalla Corte costituzionale conforme a Costituzione (sentenza n. 35 del 2010); d) in ogni caso, la giurisdizione e sclusiva devoluta al giudice amministrativo nell’àmbito di una materia può «avere ad oggetto diritti fondamentali incomprimibili;

che, inoltre, la difesa del Presidente del Consiglio evidenzia che la medesima questione di legittimità costituzionale era stata eccepita dai medesimi soggetti privati, parti nel giudizio a quo, dinnanzi al TAR del Lazio in sede di riconferma della misura cautelare ed era stata disattesa dal predetto giudice amministrativo;

che, quanto ai profili di merito delle questioni aventi ad oggetto l’art. 4, comma 2, del d.l. n. 90 del 2008, l’Avvocatura dello Stato ne deduce la complessiva infondatezza, perché sarebbero erronei i presupposi interpretativi da cui muove il giudice a quo;

che, infatti, sarebbe innanzitutto erroneo ritenere che la riconferma della misura cautelare da parte del giudice amministrativo sia «frutto di un sindacato da parte del giudice amministrativo svolto sul provvedimento cautelare del “giudice diverso”», laddove, a parere dell’Avvocatura, «il giudice amministrativo decide, come di consueto, le istanze cautelari a lui rivolte»;

che – sempre secondo l’Avvocatura dello Stato – il meccanismo normativo censurato prevede in realtà una generale perdita di efficacia delle misure cautelari concesse dall’autorità giudiziaria diversa dal giudice amministrativo, in ragione della sopravvenuta giurisdizione esclusiva di quest’ultimo, con la possibilità per i soggetti che, in forza del d.l. n. 90 del 2008, adiscono il TAR del Lazio, di «richiedere a questo le misure cautelari»;

che parimenti inammissibili e comunque infondate risultano, secondo l’Avvocatura, le questioni di costituzionalità dell’art. 9 del d.l. n. 90 del 2008, considerato che il pregiudizio per il diritto alla salute ed alla salubrità ambientale è affermato in modo «del tutto apodittico» e, pertanto, la denuncia di incostituzionalità «si fonda solo sul generico rischio per la salute connesso alle discariche»;

che in conclusione, secondo la difesa dello Stato, tutte le censure avanzate «concretano questioni relative allo stretto merito della scelta operata dal legislatore, vaghe e del tutto dimentiche della situazione emergenziale relativa ai rifiuti».

Considerato che, con ordinanza del 13 maggio 2009, il Tribunale di Salerno dubita, in relazione agli artt. 2, 3, 9, 24, 32, 100, 101, 102, 103, 104, 111, 113, 114, 117 e 118 della Costituzione, della legittimità degli artt. 4, comma 2, e 9, comma 1, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, ed entrato in vigore, per la parte che qui interessa, il 23 maggio 2008;

che il censurato art. 4, comma 2, del d.l. n. 90 del 2008 dispone che le misure cautelari adottate da una autorità giudiziaria diversa dal giudice amministrativo – al quale il comma 1 dello stesso articolo attribuisce la giurisdizione esclusiva per tutte le controversie, ivi comprese quelle relative alla fase cautelare ed ai «diritti costituzionalmente tutelati», «comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti dell’amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati» – cessano di avere effetto ove non riconfermate dal giudice amministrativo entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge;

che il censurato art. 9 del medesimo d.l. n. 90 del 2008 autorizza, al comma 1, la realizzazione di siti da destinare a discarica presso alcuni Comuni della Regione Campania e, tra questi, presso il «Comune di Serre (SA), località Valle della Masseria», allo scopo di consentire lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nella suddetta Regione;

che il giudice a quo premette, in punto di fatto, che: 1) in data 28 aprile 2007, il Tribunale di Salerno, su ricorso del Comune di Serre, aveva emesso un provvedimento di urgenza, ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, con il quale – in considerazione dell’imminente pericolo di danno grave ed irreparabile alla salubrità ambientale ed alla salute dei cittadini – erano state inibite al Commissario straordinario di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania la costruzione e la messa in opera dell’impianto di discarica dei rifiuti in località «Valle della Masseria» dello stesso Comune; 2) il provvedimento era stato confermato dal medesimo Tribunale, in sede di reclamo; 3) il Commissario aveva impugnato il suddetto provvedimento mediante ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., con contestuale richiesta di regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 cod. proc. civ.; 4) la Corte di cassazione, con sentenza resa a sezioni unite il 28 dicembre 2007, n. 27187, pur dichiarando improponibile il ricorso ed inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione, aveva affermato che, nella specie, l’eventuale controversia di merito, «tendendo ad inibire la collocazione su un’area sita nel Comune di Serre dell’opera pubblica particolare costituita dalla discarica», atteneva «all’uso o gestione del territorio regionale» ed era, pertanto, «da qualificare “urbanistica” o edilizia», come tale «regolata, sul piano della tutela giurisdizionale, dal […] d.lgs. n. 80 del 1998, art. 34, comma 1, come successivamente modificato», attributivo al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva in materia; 5) la stessa Corte, con la medesima sentenza, aveva enunciato d’ufficio – «nell’interesse della legge», ai sensi dell’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ. ̵ 1; il principio di diritto secondo cui «Anche in materia di diritti fo ndamentali tutelati dalla Costituzione, quali il diritto alla salute (art. 32 Cost.), allorché la loro lesione sia dedotta come effetto di un comportamento materiale, espressione di poteri autoritativi e conseguente ad atti della P.A., di cui sia denunciata l’illegittimità, in materie riservate alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, come ad esempio in quella di gestione del territorio, compete a detti giudici la cognizione esclusiva delle relative controversie e circa la sussistenza in concreto dei diritti vantati e il contemperamento o la limitazione dei suddetti diritti in rapporto all’interesse generale pubblico all’ambiente salubre e l’emissione di ogni provvedimento cautelare, per assicurare provvisoriamente gli effetti della futura decisione finale sulle richieste inibitorie, demolitorie ed eventualmente risarcitorie dei soggetti che deducono di essere danneggiati da detti comportamenti o provvedimenti»; 6) nelle more del giudizio davanti alla Corte di cassazione, il Commissario straordinario di Governo ed il Presidente del Consiglio dei ministri avevano instaurato il giudizio di merito presso il Tribunale di Salerno; 7) durante lo svolgimento di tale giudizio di merito era entrato in vigore il denunciato comma 2 dell’art. 4 del decreto-legge n. 90 del 2008, convertito dalla legge n. 123 del 2008, ai sensi del quale il TAR del Lazio, dapprima, ed il Consiglio di Stato, successivamente, avevano dichiarato di non riconfermare il provvedimento cautelare adottato dal Tribunale di Salerno;

che, il rimettente premette altresí, in punto di diritto, di avere giurisdizione nel giudizio di merito instaurato dal Commissario straordinario di Governo e dalla Presidenza del Consiglio dei ministri a séguito della concessione del provvedimento cautelare, sia perché, in base all’art. 363 cod. proc. civ., il contrario principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione nell’interesse della legge non ha efficacia vincolante nel giudizio a quo; sia perché, comunque, diversamente da quanto affermato della Corte di cassazione, la controversia non rientra nella giurisdizione esclusiva amministrativa in materia di edilizia ed urbanistica; sia perché il comma 1 dall’art. 4 del decreto-legge n. 90 del 2008 – che attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva nelle controversie in materia di gestione dei rifiuti – non ha efficacia retroattiva e, pertanto, non è applicabile ratione temp oris al giudizio principale, il quale era già pendente alla data dell’entrata in vigore del decreto-legge medesimo; sia perché, infine, il diritto alla «salute o all’ambiente salubre», fatto valere dall’attore nel giudizio a quo, ha «il rango di diritto soggettivo assoluto […] incomprimibile», con conseguente appartenenza alla giurisdizione ordinaria della controversia nella quale è fatto valere;

che il rimettente motiva la sussistenza della propria giurisdizione nel giudizio principale di merito in modo non palesemente implausibile, almeno quanto: alla non incidenza nel giudizio a quo del principio di diritto espresso della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ.; alla non riconducibilità della controversia alla materia dell’edilizia e urbanistica; alla irretroattività del comma 1 dall’art. 4 del decreto-legge n. 90 del 2008 in ordine all’attribuzione della giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo in materia di controversie attinenti alla «gestione dei rifiuti»;

che, anche a voler considerare non implausibile la giurisdizione affermata dal rimettente, tutte le sollevate questioni esposte nel Ritenuto in fatto sono comunque manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza;

che, con riferimento alle questioni riguardanti l’art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 90 del 2008, il giudice a quo ne afferma la rilevanza sul presupposto che le vicende del provvedimento cautelare «sono strettamente connesse al giudizio di merito» instaurato dopo l’adozione del provvedimento;

che, in particolare, tale connessione sussisterebbe sia perché, in caso di rigetto totale o parziale della domanda di merito, la misura cautelare perde efficacia e il giudice di merito deve dare le disposizioni necessarie per il ripristino della situazione precedente (art. 669-nonies, terzo comma, cod. proc. civ.); sia perché, in caso di accoglimento della domanda di merito, la misura cautelare in precedenza concessa «sopravvive e non viene assorbita dalla decisione di merito favorevole»;

che l’affermata connessione tra provvedimento cautelare e giudizio di merito non sussiste, nella specie, perché: a) il giudizio di merito non costituisce – come pure riconosce il rimettente – «un […] giudizio di convalida […] della misura cautelare» e, pertanto non ha ad oggetto il riesame della correttezza e dell’efficacia della misura, ma solo l’accertamento del diritto a tutela del quale è stato richiesto il provvedimento cautelare; b) in particolare, le vicende del giudizio di merito influenzano quelle del provvedimento cautelare, ma non viceversa, in quanto i provvedimenti di cui al terzo comma dell’art. 669-nonies cod. proc. civ., ripristinatori della situazione precedente al provvedimento cautelare e richiamati dal ricorrente, conseguono alla pronuncia di merito che dichiara l’inesistenza del diritto a tutela del quale è stato concesso il provvedimento e non certo alla perdita di effi cacia verificatasi prima di tale pronuncia; c) la cessazione degli effetti del provvedimento cautelare si è già verificata a séguito della sua mancata riconferma da parte del giudice amministrativo e deriva direttamente dalla denunciata disposizione; d) la sentenza di accoglimento della domanda di merito è dotata di una propria efficacia esecutiva, ai sensi dell’art. 282 cod. proc. civ., indipendente dall’efficacia o inefficacia dei provvedimenti cautelari precedentemente emessi;

che, sempre in punto di rilevanza delle questioni riguardanti la medesima disposizione, il rimettente evidenzia che, nel giudizio a quo, le parti hanno chiesto «emettersi opposte pronunce sul provvedimento cautelare», cioè, rispettivamente, la caducazione e la conferma;

che anche tale osservazione del rimettente non appare conferente, perché i sottolineati profili di indipendenza del giudizio cautelare rispetto al giudizio di merito rendono prive di rilievo le eventuali richieste delle parti di conferma o caducazione del provvedimento cautelare con la pronuncia di merito;

che, in conclusione, il rimettente, quale giudice del giudizio di merito instaurato dopo il provvedimento cautelare, non deve fare applicazione della disposizione denunciata, non essendo egli il giudice della riconferma di detto provvedimento;

che, di conseguenza, non ponendosi l’applicazione della disposizione censurata «come necessaria ai fini della definizione del giudizio» principale, le sollevate questioni non sono rilevanti (sentenza n. 241 del 2008; analogamente, ex plurimis, sentenze n. 53 e n. 50 del 2010; n. 173 del 2009);

che, con riferimento alle questioni riguardanti l’art. 9, comma 1, del decreto-legge n. 90 del 2008, il rimettente afferma espressamente che tale disposizione «può» essere disapplicata, perché in «contrasto con specifiche norme comunitarie» (in particolare con la direttiva 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti);

che dette questioni non sono rilevanti, perché sollevate prima della risoluzione, da parte del giudice a quo, del problema – da lui stesso posto – della compatibilità della disposizione censurata con l’ordinamento comunitario;

che, infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il «dubbio manifestato dal rimettente con riguardo alla possibilità di non applicare la norma impugnata per contrasto con il diritto comunitario rende difettosa la motivazione sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, rispetto alla quale “la questione di compatibilità comunitaria costituisce un prius logico e giuridico”» (ordinanza n. 100 del 2009; nello stesso senso, sentenza n. 284 del 2007 ed ordinanza n. 415 del 2008).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, e dell’art. 9, comma 1, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, sollevate − in riferimento agli artt. 2, 3, 9, 24, 32, 100, 101, 102, 103,104, 111, 113, 114, 117 e 118 della Costituzione − dal Tribunale di Salerno con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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ORDINANZA N. 242

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi), promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Prato nel procedimento vertente tra la Gema Commerciale s.r.l. e l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Prato con ordinanza del 4 dicembre 2009, iscritta al n. 42 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2010 il Giudice relatore Sabino Cassese.

Ritenuto che nel corso di un giudizio promosso da una società a responsabilità limitata avverso l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Prato, per ottenere l’accertamento del silenzio rifiuto in ordine all’istanza di rimborso della maggiore imposta Ires dichiarata in conseguenza della mancata deduzione dell’importo versato a titolo di Irap dalla base imponibile Ires relativa all’anno 2007, la Commissione tributaria provinciale di Prato, con ordinanza depositata il 4 dicembre 2009 (iscritta al r.o. n. 42 del 2010), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonch&# 233; riordino della disciplina dei tributi locali), nella parte in cui prevede che l’Irap non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi;

che la Commissione sostiene che la questione della mancata deducibilità dell’Irap versata dalla società dalla base imponibile Ires non sia da considerare né irrilevante né manifestamente infondata, perché, da un lato, in riferimento alla violazione dell’art. 53 Cost., la mancata deduzione dal reddito complessivo Ires di un componente negativo sostenuto per la sua produzione, comporterebbe l’applicazione di tale imposta anche su redditi in realtà inesistenti, in quanto assorbiti dall’onere relativo all’imposta e, dall’altro, in ordine alla violazione dell’art. 3 Cost., si determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra l’Irap e le altre imposte diverse da quelle sui redditi e da quelle per le quali è prevista la rivalsa, essendo la prima integralmente indeducibile, mentre le seconde sono integralmente deducibili, ai sensi dell’art. 99 del d.P.R. 22 dice mbre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi);

che nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo, innanzitutto, l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, nel merito, l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate;

che, secondo la difesa statale, il ricorso è inammissibile, oltre che per carenza di motivazione circa la non manifesta infondatezza della questione, perché il rimettente non ha neppure menzionato l’art. 6 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che ha mutato in modo significativo il quadro normativo di riferimento;

che, nel merito, l’Avvocatura dello Stato sostiene, da un lato, anche sulla scorta della giurisprudenza costituzionale, che l’individuazione degli oneri deducibili rientra nella discrezionalità del legislatore e, dall’altro, che non è irragionevole «non consentire la deduzione dall’imponibile (…) di un costo di organizzazione che il lavoratore autonomo e l’imprenditore può liberamente neutralizzare anche in modo diverso».

Considerato che l’art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008 prevede che, a partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, è ammesso in deduzione un importo pari al 10 per cento dell’Irap, «forfetariamente riferita all’imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati al netto degli interessi attivi e proventi assimilati ovvero delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti», e che, per i periodi di imposta anteriori, per i quali era stata presentata istanza di rimborso, è ammesso il rimborso per una somma fino al 10 per cento dell’Irap dell’anno di competenza, da eseguirsi secondo l’ordine cronologico di presentazione delle istanze, nel rispetto dei limiti di spesa indicati;

che l’ordinanza di rimessione, successiva all’entrata in vigore del citato art. 6, non menziona tale disposizione e omette così di motivare la rilevanza della questione sollevata a seguito del mutamento del quadro normativo di riferimento;

che la stessa non tiene conto, altresì, dell’ordinanza n. 258 del 2009, con la quale la Corte – chiamata a decidere analoga questione – ha restituito gli atti al giudice rimettente per una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza alla luce della mutata cornice legislativa;

che, in virtù della costante giurisprudenza costituzionale (tra le altre, sentenza n. 215 del 2008; ordinanze n. 89 del 2010 e n. 315 e 292 del 2008), occorre procedere alla declaratoria di manifesta inammissibilità della questione, a causa della incompleta e, quindi, erronea ricostruzione del quadro normativo di riferimento.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Prato con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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ORDINANZA N. 243

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 796, lettera o), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), e dell’articolo 33, comma 2, della legge della Regione Puglia 16 aprile 2007, n. 10 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2007 e bilancio pluriennale 2007-2009 della Regione Puglia), nel testo sostituito dall’articolo 2 della legge della stessa Regione 5 giugno 2007, n. 16 (Prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2007), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio nel procedimento vertente tra l’Ordine nazionale dei biologi ed altro e il Ministero della salute ed altri con ordinanza del 12 dicembre 2007, iscritta al n. 75 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie special e, dell’anno 2010.

Visti l’atto di costituzione dell’Ordine nazionale dei biologi nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2010 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III-quater, con sentenza-ordinanza del 12 dicembre 2007, ha sollevato, in riferimento agli articoli 24, 32, 41, 97, 113 e 117, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 796, lettera o), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), e dell’articolo 33, comma 2, della legge della Regione Puglia 16 aprile 2007, n. 10 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2007 e bilancio pluriennale 2007-2009 della Regione Puglia), nel testo sostituito dall’articolo 2 della legge della stessa Regione 5 giugno 2007, n. 16 (Prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2007), nella parte in cui impongono alle strutture private accreditate con il Servizio sanitario nazionale (di seguito, S.s.n.) una decurtazione sulle tariffe concernenti la remunerazione delle prestazioni rese per conto di detto Servizio;

che nel giudizio principale l’Ordine nazionale dei biologi, in persona del Presidente pro tempore, ha chiesto l’annullamento dei seguenti atti e provvedimenti: decreto del Ministro della salute, emanato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, del 12 settembre 2006, recante «Ricognizione e primo aggiornamento delle tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni sanitarie»; provvedimento dell’Assessorato alle politiche della salute della Regione Puglia, protocollo n. 24/796/AOSI2 del 25 gennaio 2007, avente ad oggetto «Legge finanziaria 2007 –Chiarimenti contabilizzazione quote fisse e sconti per prestazioni di specialistica ambulatoriale»; nota del Direttore generale dell’Azienda unità sanitaria Locale BR/I di Brindisi del 31 gennaio 2007, protocollo n. 5199, avente ad oggetto «DMS 12/9/2006. Modifica tariffe branca di patologia clinica, nonché ogni ulteriore atto presupposto, connesso o conseguente»; delibera della Giunta della Regione Puglia del 3 aprile 2007, n. 404, recante la disciplina delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale erogabili nell’ambito del Servizio sanitario regionale (S.s.r.) e delle relative tariffe, nonché di ogni ulteriore atto presupposto, connesso o conseguente;

che il citato art. 1, comma 796, lettera o), della legge n. 296 del 2006 concerne la remunerazione delle prestazioni rese per conto del S.s.n. dalle strutture private accreditate e, nella parte censurata, dispone: «fatto salvo quanto previsto in materia di aggiornamento dei tariffari delle prestazioni sanitarie dall’articolo 1, comma 170, quarto periodo, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, come modificato dalla presente lettera, a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge le strutture private accreditate, ai fini della remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio sanitario nazionale, praticano uno sconto pari al 2 per cento degli importi indicati per le prestazioni specialistiche dal decreto del Ministro della sanità 22 luglio 1996, recante “Prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale erogabili nell’ambito del Servizio sanitario nazionale e relative tariffe”, pubblicato nel supplemento ordinario n. 150 alla Gazzetta Ufficiale n. 216 del 14 settembre 1996, e pari al 20 per cento degli importi indicati per le prestazioni di diagnostica di laboratorio dal medesimo decreto»;

che l’art. 33, comma 2, della legge Regione Puglia n. 10 n. 2007, nel testo sostituito dalla legge Regione Puglia n. 16 del 2007, stabilisce: «Fino all’emanazione dei nuovi Livelli di Assistenza Nazionali (LEA), per il periodo compreso tra il 1° gennaio e la data di approvazione del DIEF di cui al comma 1, le tariffe relative alle suddette prestazioni sono quelle riportate nel nomenclatore tariffario regionale delle prestazioni specialistiche ambulatoriali di patologia clinica indicata nell’allegato A) della Delib. G.R. 22 settembre 1998, n. 3784 alle quali si applica lo sconto del 20 per cento previsto dall’articolo 1, comma 796, lettera o), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007)»;

che, secondo il rimettente, alcune delle censure svolte dal ricorrente sono fondate e, conseguentemente, con «sentenza-ordinanza», ha annullato «in parte qua»: il citato d.m. 12 settembre 2006; il provvedimento dell’Assessorato alle politiche della salute della Regione Puglia del 25 gennaio 2007 (limitatamente alla parte in cui dispone l’applicazione di detto decreto ministeriale); la delibera della Giunta della Regione Puglia del 3 aprile 2007, n. 404 (nella parte in cui ha disposto l’applicazione delle precedenti circolari «in esecuzione del D.M. S. 12 settembre 2006»);

che, a suo avviso, le norme censurate impedirebbero, invece, l’accoglimento degli ulteriori motivi del ricorso e determinerebbero la decurtazione dei compensi per le prestazioni erogate per il mese di dicembre 2006 e per il 2007, almeno fino all’adozione da parte della Regione Puglia del documento di indirizzo economico e funzionale (DIEF), e, in ordine ad esse, sarebbe non manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale delle medesime, essenzialmente per le ragioni esposte dal TAR per la Puglia nell’ordinanza del 19 ottobre 2007, n. 3631, che ha rimesso la relativa questione a questa Corte;

che le questioni sarebbero rilevanti, poiché sono entrambe le norme censurate ad imporre che il finanziamento delle prestazioni debba avvenire applicando lo sconto del 20 per cento sulle prestazioni di laboratorio di analisi e del 2 per cento sulle restanti branche, incidendo sul budget per l’anno 2007;

che, secondo il giudice a quo, la norma statale censurata violerebbe gli artt. 24 e 113 Cost., in quanto renderebbe applicabile il d.m. 22 luglio 1996, benché annullato con sentenza del Consiglio di Stato (sez. IV, 29 marzo 2001, n. 1839), passata in giudicato, recando vulnus alle funzioni costituzionalmente attribuite al potere giudiziario;

che, inoltre, detta disposizione violerebbe l’art. 41 Cost., poiché la tariffa per la remunerazione delle prestazioni è stata stabilita con legge, imponendo uno sconto sulle tariffe vigenti, senza dare conto delle ragioni di detta misura e facendo riferimento a tariffe risalenti nel tempo, omettendo di considerare l’incremento dei costi dei fattori produttivi e, comunque, di accertarne, all’esito di istruttoria, l’eventuale mancato incremento, ovvero la diminuzione, risultando l’irragionevolezza della disciplina confortata dalla contraddittorietà insita nel fatto che il legislatore, appena tre mesi dopo l’approvazione del d.m. 12 settembre 2006, il quale aveva confermato le tariffe del 1996, ha espresso una diversa opzione, procedendo ad una ulteriore riduzione;

che, ad avviso del TAR, la norma statale censurata comprometterebbe la funzionalità delle strutture private accreditate e, in violazione dell’art. 32 Cost., inciderebbe sul diritto alla salute e sul diritto di libera scelta dell’assistito, anche in quanto le strutture pubbliche del S.s.n. non sarebbero in grado di assicurare, da sole, l’erogazione delle prestazioni sanitarie;

che il mancato svolgimento di una «compiuta istruttoria» (comunque, l’omessa allegazione del suo avvenuto espletamento) si porrebbe in contrasto con l’art. 97 Cost., dato che il legislatore deve porre a base delle sue scelte «un’adeguata conoscenza dei fatti, della quale deve dare conto», eventualmente mediante rinvio ai lavori preparatori o ad altri atti;

che, secondo il rimettente, il «sistema delineato dall’art. 1, comma 796, lettera o)», della legge n. 296 del 2006, si porrebbe «in contrasto con l’art. 117 Cost., nel momento in cui lo Stato non si limita a dettare i criteri per la fissazione delle tariffe da parte delle regioni, ma le fissa direttamente»;

che le esigenze di contenimento della spesa pubblica e la competenza legislativa statale in materia di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.) non permetterebbero, infatti, l’individuazione dettagliata delle voci di costo dei bilanci regionali da ridurre e, comunque, l’indicazione della strumentalità della misura rispetto all’esigenza di «garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009, in attuazione del protocollo di intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano per un patto nazionale per la salute sul quale la Conferenza delle regioni e delle province autonome, nella riunione del 28 settembre 2006» avrebbe richiesto lo svolgimento di una adeguata istruttoria e non giustificherebbe «l’incisione di interessi privati in nome delle sempre invocate ragioni di contenimento della spesa pubbl ica»;

che, infine, conclude il TAR, la norma regionale censurata sarebbe inficiata dagli stessi vizi e violerebbe il canone di buon andamento (art. 97 Cost.), in quanto: affida ad un futuro provvedimento la fissazione di nuove tariffe, senza apporre alcun termine; non prevede alcun meccanismo di regolazione tra le tariffe provvisorie e quelle che, eventualmente, avrebbero dovuto essere fissate, sicché identiche prestazioni nel 2007 potrebbero trovare una diversa remunerazione non in considerazione della loro oggettiva entità, ma per la casuale collocazione temporale della loro effettuazione nell’ambito del medesimo anno;

che, ad avviso del giudice a quo, le difficoltà finanziarie della Regione non potrebbero essere indiscriminatamente poste a carico dei prestatori dei servizi e la norma regionale in oggetto violerebbe il citato parametro costituzionale, nella parte in cui affida ad un futuro «documento di indirizzo economico e funzionale (DIEF)» le modalità di utilizzazione del fondo sanitario attribuito alla Regione per l’anno 2007, e rinvia alle tariffe delle prestazioni al «nomenclatore tariffario regionale delle prestazioni specialistiche ambulatoriali di patologia clinica indicata nell’allegato A) della Delib. G.R. 22 settembre 1998, n. 3784», sui quali applicare lo sconto previsto dall’articolo 1, comma 796, lettera o), della legge n. 296 del 2006;

che nel giudizio si è costituito l’Ordine nazionale dei biologi, in persona del Presidente pro tempore, ricorrente nel processo principale, chiedendo che la questione sia accolta, formulando riserva di svolgere argomentazioni;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la norma statale sia dichiarata infondata, in quanto identica questione è stata già dichiarata infondata da questa Corte con la sentenza n. 94 del 2009.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III-quater, con sentenza-ordinanza del 12 dicembre 2007, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, 32, 41, 97, 113 e 117 (recte: art. 117, terzo comma), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 796, lettera o), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007), e dell’articolo 33, comma 2, della legge della Regione Puglia 16 aprile 2007 n. 10 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2007 e bilancio pluriennale 2007-2009 della Regione Puglia), nel testo sostituito dall’articolo 2 della legge della stessa Regione 5 giugno 2007, n. 16 (Prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2007), nella parte in cui impongono alle strutture private accreditate con il Servizio sanitario nazionale ( di seguito, S.s.n.) una decurtazione sulle tariffe concernenti la remunerazione delle prestazioni rese per conto di detto Servizio;

che la questione, benché sia stata proposta con «sentenza-ordinanza», con la quale il TAR ha accolto alcuni dei motivi proposti dal ricorrente, annullando in parte qua alcuni degli atti impugnati nel giudizio principale, senza pronunciarsi sulle censure la cui decisione ha ritenuto condizionata alla previa definizione dell’incidente di costituzionalità, è tuttavia ammissibile;

che il provvedimento contiene, infatti, un duplice ordine di statuizioni ed è configurabile come «ordinanza», nella parte in cui il rimettente, con esso, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, senza avere fatto applicazione delle norme censurate e senza avere definito il giudizio principale, del quale, per la parte non definita, ha disposto la sospensione (sentenza n. 94 del 2009);

che il giudice a quo ha, inoltre, non implausibilmente motivato in ordine alla rilevanza della questione così come proposta, anche in ordine alla disciplina applicabile ratione temporis, in riferimento alle prestazioni oggetto del processo principale;

che identica questione, concernente le stesse norme, sollevata in riferimento agli stessi parametri costituzionali ed agli stessi profili, pure proposta dal TAR del Lazio, sezione III-quater, con due ordinanze pronunciate nella stessa data, aventi contenuto in larga misura identico a quella in esame, è stata già decisa da questa Corte, unitamente alle omologhe questioni proposte con provvedimenti di rimessione sostanzialmente analoghi (uno dei quali espressamente richiamato dal rimettente, per farne propria la motivazione), e dichiarata non fondata (sentenza n. 94 del 2009);

che, con detta sentenza, questa Corte ha anzitutto ricostruito la complessa evoluzione della disciplina dell’erogazione e della remunerazione delle prestazioni sanitarie e, dopo avere posto in rilievo i fondamentali caratteri che connotano il vigente sistema, ha sottolineato l’imprescindibilità per il legislatore ordinario di procedere al bilanciamento delle esigenze di garantire egualmente a tutti i cittadini, sull’intero territorio nazionale, il diritto fondamentale alla salute, nella misura più ampia possibile, e di rendere compatibile la spesa sanitaria con la limitatezza delle disponibilità finanziarie, nel quadro di una programmazione generale degli interventi da realizzare in questo campo;

che la citata pronuncia ha esposto gli argomenti i quali fanno escludere che il riferimento contenuto nella disciplina censurata a tariffe pregresse, alla luce del suo carattere temporalmente limitato, permetta, da solo, di farne ritenere l’irragionevolezza (anche in considerazione delle sopravvenienze normative, pure espressamente indicate), non rilevando, in contrario, la possibilità che prestazioni rese nello stesso anno (ma soggette a differenti regolamentazioni) siano diversamente remunerate;

che le censure riferite all’art. 41 Cost. sono state dichiarate infondate, non risultando comprovata la compromissione di ogni margine di utile, vieppiù in considerazione del carattere temporalmente limitato della disciplina e della circostanza che l’erogazione di prestazioni per conto del S.s.n. è comunque frutto di una scelta delle strutture private;

che analoga conclusione è stata affermata in ordine alla censura proposta in relazione all’art. 32 Cost., poiché il principio di libera scelta non è assoluto e va bilanciato con gli altri interessi costituzionalmente protetti, in considerazione dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore ordinario incontra in relazione alle risorse finanziarie disponibili, mentre l’incidenza della disciplina censurata sulla permanenza delle strutture private all’interno della organizzazione del S.s.n., con eventuale pregiudizio della funzionalità di quest’ultimo, è stata ritenuta inidonea a dare consistenza alla censura, essendo stata la relativa prospettazione affidata ad un’argomentazione meramente ipotetica;

che il riferimento all’art. 97 Cost. è stato giudicato inconferente, poiché detto parametro non è riferibile allo svolgimento della funzione legislativa;

che la questione sollevata in relazione agli artt. 24, 103 e 113 Cost. è stata dichiarata non fondata, poiché il legislatore ordinario ha disposto una regolamentazione della remunerazione delle prestazioni, attraendola, temporaneamente, alla sfera legislativa, in virtù di una scelta non irragionevole, né manifestamente arbitraria, stabilendo una disciplina priva di efficacia retroattiva, che, quindi, non ha violato il giudicato e gli effetti della sentenza del Consiglio di Stato (sez. IV, 29 marzo 2001, n. 1839), indicata quale giudicato asseritamente leso;

che la sentenza n. 94 del 2009 ha ritenuto non fondata la questione riferita all’art. 117, terzo comma, Cost., sia perché la norma statale non ha escluso il potere delle Regioni di stabilire tariffe superiori, che restano a carico dei bilanci regionali, sia alla luce della condivisione dell’obiettivo di ridurre la spesa sanitaria (espressa dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, nella riunione del 28 settembre 2006, in relazione al protocollo di intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano per un patto nazionale per la salute), esplicitando altresì gli argomenti a conforto dell’infondatezza e dell’inconferenza delle deduzioni concernenti la diretta fissazione delle tariffe in esame da parte della norma statale;

che siffatte argomentazioni, e quelle ulteriori svolte in detta sentenza, hanno condotto, infine, questa Corte a giudicare infondate le censure concernenti la norma regionale (riferite a tutti i parametri sopra indicati, salvo l’art. 117, terzo comma, Cost., da ritenere evocato soltanto in relazione alla norma statale);

che il giudice a quo non prospetta argomenti differenti ed ulteriori rispetto a quelli dedotti con due provvedimenti di rimessione, di contenuto in larga misura identico a quello in esame, pronunciati dallo stesso TAR del Lazio, sezione III-quater, nella stessa data, valutati, unitamente agli altri che hanno proposto le questioni decise dalla sentenza n. 94 del 2009, e, conseguentemente, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 796, lettera o), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), sollevata in riferimento agli articoli 24, 32, 41, 97, 113 e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 33, comma 2, della legge della Regione Puglia 16 aprile 2007, n. 10 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2007 e bilancio pluriennale 2007-2009 della Regione Puglia), nel testo sostituito dall’articolo 2 della legge della stessa Regione 5 giugno 2007, n. 16 (Prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2007), sollevata in riferimento agli articoli 24, 32, 41, 97 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedente

ORDINANZA N. 244

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera b), della legge della Regione Marche 8 ottobre 2009, n. 22 (Interventi della Regione per il riavvio delle attività edilizie al fine di fronteggiare la crisi economica, difendere l’occupazione, migliorare la sicurezza degli edifici e promuovere tecniche di edilizia sostenibile), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato l’11 dicembre 2009, depositato in cancelleria il successivo 17 dicembre, ed iscritto al n. 104 del registro ricorsi 2009.

Udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che con ricorso notificato a mezzo del servizio postale l’11 dicembre 2009 (data di spedizione del plico a mezzo raccomandata da parte dell’ufficiale giudiziario) e depositato il successivo 17 dicembre, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera b), della legge della Regione Marche 8 ottobre 2009, n. 22 (Interventi della Regione per il riavvio delle attività edilizie al fine di fronteggiare la crisi economica, difendere l’occupazione, migliorare la sicurezza degli edifici e promuovere tecniche di edilizia sostenibile), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e in relazione all’art. 4, comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE);

che il ricorrente, preliminarmente, richiama in sintesi l’oggetto della disciplina dettata dalla legge regionale n. 22 del 2009;

che deduce, quindi, che l’art. 8, comma 1, lettera b), della suddetta legge regionale, nel disciplinare le modalità con le quali le stazioni appaltanti devono individuare i soggetti cui rivolgere la lettera di invito per l’affidamento dei lavori di cui al comma 7-bis dell’articolo 122 del d.lgs. n. 163 del 2006, invaderebbe la potestà legislativa esclusiva dello Stato, ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., come esercitata con l’art. 4, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 163 del 2006, relativamente ai criteri di selezione dei concorrenti e alle procedure di aggiudicazione, trattandosi di aspetti riconducibili alla materia tutela della concorrenza (è richiamata la sentenza n. 401 del 2007);

che, infatti, i canoni contenuti nella norma sospettata di illegittimità costituzionale sarebbero aggiuntivi rispetto a quelli dettati dagli artt. da 39 a 50 e 233 del Codice degli appalti;

che non si è costituita la Regione Marche;

che la norma impugnata è stata abrogata dall’art. 50, comma 2, della legge della Regione Marche 22 dicembre 2009, n. 31 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2010 e pluriennale 2010/2012 della Regione – legge finanziaria 2010);

che il 12 marzo 2010, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato atto di rinuncia al ricorso, notificato a mezzo del servizio postale il 4-9 marzo 2010, in quanto, giusta l’allegata e richiamata delibera del Consiglio dei ministri del 1° marzo 2010, approvata sulla base della relazione del Ministro per i rapporti con le Regioni, «sono venute meno le motivazioni del ricorso», dal momento che la Regione Marche «ha provveduto ad abrogare» la disposizione censurata.

Considerato che è stata presentata rinuncia al ricorso;

che la Regione Marche non si è costituita nel presente giudizio;

che, in mancanza di costituzione della parte resistente, non occorre l’accettazione della rinuncia ad opera di quest’ultima ai fini dell’estinzione del giudizio;

che, quando si verifica tale evenienza, la rinuncia al ricorso determina ex se, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l’estinzione del processo (ex plurimis: ordinanze n. 206 del 2010 e n. 292 del 2009).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara estinto il processo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alfonso QUARANTA , Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA