Deposito del 28/10/2010 (dalla 303 alla 308)

 
S.303/2010 del 20/10/2010
Udienza Pubblica del 21/09/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore MAZZELLA


Norme impugnate: Art. 1, c. 519°, della legge 27/12/2006, n. 296.

Oggetto: Impiego pubblico - Stabilizzazione di personale non di ruolo presso le pubbliche amministrazioni per l'anno 2007 - Condizione - Espletamento di servizio anche non continuativo di almeno tre anni nel quinquennio anteriore all'entrata in vigore della legge censurata.

Dispositivo: non fondatezza
Atti decisi: ord. 77/2009
S.304/2010 del 20/10/2010
Udienza Pubblica del 06/10/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore QUARANTA


Norme impugnate: Art. 1, c. 24° bis, del decreto legge 18/05/2006, n. 181, aggiunto dalla legge 17/07/2006, n. 233.

Oggetto: Amministrazione pubblica - Personale addetto o incaricato negli uffici di diretta collaborazione del Ministro (nella specie direttore dell'Ufficio di gabinetto del Ministero dello sviluppo economico) - Prevista automatica decadenza (c.d. "spoil system") in mancanza di conferma entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro.

Dispositivo: non fondatezza
Atti decisi: ord. 154/2009
O.305/2010 del 20/10/2010
Udienza Pubblica del 21/09/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore NAPOLITANO


Norme impugnate: Artt. 1, 2, 4, c. 2°, 6, 7, 8, 9, c. 1°, 10, 11 e 12 della legge della Regione Basilicata 13/11/2009, n. 38.

Oggetto: Professioni - Norme della Regione Basilicata - Disciplina della professione di maestro di mountain bike e ciclismo fuoristrada, con previsione, fra l'altro, di corsi di formazione e superamento di esami, di obbligatoria abilitazione ed iscrizione ad apposito elenco professionale regionale, di tariffe - Lamentata istituzione e disciplina di una nuova figura professionale in carenza di una legge quadro statale - Contrasto con il principio fondamentale che riserva allo Stato l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, nonché contrasto con le norme statali e comunitarie ch e escludono l'obbligatorietà delle tariffe minime.

Dispositivo: estinzione del processo
Atti decisi: ric. 8/2010
O.306/2010 del 20/10/2010
Camera di Consiglio del 22/09/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore TESAURO


Norme impugnate: Art. 18, c. 1°, lett. r), della legge 22/04/2005, n. 69.

Oggetto: Estradizione - Mandato d'arresto europeo - Consegna per l'estero - Consegna esecutiva - Rifiuto della consegna - Previsione che la Corte di appello rifiuti la consegna se il mandato di arresto europeo sia stato emesso ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà persona le, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano, sempre che la Corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno - Mancata previsione del rifiuto della consegna del residente non cittadino.

Dispositivo: manifesta inammissibilità
Atti decisi: ord. 109/2010
O.307/2010 del 20/10/2010
Camera di Consiglio del 22/09/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore TESAURO


Norme impugnate: Decreto Dirigente del Dipartimento regionale trasporti e comunicazioni della Regione Siciliana 10/08/2009.

Oggetto: Trasporto pubblico - Trasporto pubblico locale - Regione Siciliana - Decreto del Dirigente generale del Dipartimento regionale trasporti e comunicazioni della Regione Siciliana recante la proroga per un quinquennio della data di scadenza dei contratti di servizio attualmente in corso con le imprese del trasporto pubblico locale.

Dispositivo: estinzione del processo
Atti decisi: confl. enti 12/2009
O.308/2010 del 20/10/2010
Udienza Pubblica del 05/10/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore SAULLE


Norme impugnate: Artt. 5, 11 e 13 della legge della Regione Puglia 06/09/1999, n. 27.

Oggetto: Sanità pubblica - Norme della Regione Puglia - Concorsi interni per dirigente in Servizio per le tossicodipendenze (SERT) della ASL - Riserva dei posti a i soli medici - Conseguente preclusione per gli psicologi.

Dispositivo: restituzione atti - jus superveniens
Atti decisi: ord. 245/2009

Fare clic con il pulsante destro del mouse qui per scaricare le immagini. Per motivi di riservatezza, il download automatico dell'immagine da Internet non è stato eseguito.
pronuncia successiva

SENTENZA N. 303

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 519, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), promosso dal Consiglio di Stato nel procedimento vertente tra C.B. ed altri e il Ministero dell’interno ed altro con ordinanza del 23 dicembre 2008, iscritta al n. 77 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visto l’atto di costituzione di C.B. ed altri nonché l’atto di intervento, fuori termine, di G.B. ed altri;

udito nell’udienza pubblica del 21 settembre 2010 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

uditi gli avvocati Antonio Saitta e Giovanni Giacoppo per C.B. ed altri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Consiglio di Stato, con ordinanza del 23 dicembre 2008 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 11 del 18 marzo 2009, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, dell’articolo 1, comma 519, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007).

La norma censurata prevede la «stabilizzazione a domanda del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge, che ne faccia istanza, purché sia stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge. (…) Nei limiti del presente comma, la stabilizzazione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è consentita al personale che risulti iscritto negli appositi elenchi, di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, da almeno tre anni ed abbia effettuato non meno di centoventi giorni di servizio».

1.1. – Riferisce il collegio che i ricorrenti nel giudizio principale, avendo prestato servizio volontario per almeno centoventi giorni quali volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e risultando iscritti negli apposti elenchi da almeno tre anni alla data del 1° gennaio 2007, avevano partecipato ad una procedura di stabilizzazione, indetta con decreto ministeriale 27 agosto 2007, n. 3747, in applicazione della disposizione impugnata. La loro istanza era stata, tuttavia, respinta, perché il periodo minimo lavorativo non si era svolto all’interno del quinquennio anteriore all’entrata in vigore della legge citata. I ricorrenti avevano quindi impugnato dinanzi al TAR del Lazio le note ministeriali con cui era stata loro negata la partecipazione alla procedura di stabilizzazione. Respinto il ricorso con sentenza n. 3089 del 2008 in data 11 aprile 2008, i ricorrenti l’avevano impugnata, chiedendone la riforma.

1.2. – Secondo il Consiglio di Stato, la questione di legittimità costituzionale è, innanzitutto, rilevante, essendo prive di fondamento le censure di illegittimità del diniego di stabilizzazione proposte dai ricorrenti nel giudizio principale.

Osserva il collegio che la loro aspirazione ad essere inclusi nel personale stabilizzato sarebbe preclusa dal quarto periodo del citato art. 1, comma 519, il quale – nel disciplinare la stabilizzazione dei vigili del fuoco volontari – richiama tutti i limiti posti in via generale dal primo periodo, compresa la condizione che l’attività lavorativa rilevante, nella specie ridotta a centoventi giorni, sia stata svolta per il periodo minimo di servizio utile nell’ambito del quinquennio anteriore all’entrata in vigore della legge. A fugare ogni dubbio, l’art. 3, comma 91, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), avrebbe quindi precisato trattarsi di principio generale, incidente pure sulla stabilizzazione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Ritiene, in secondo luogo, il Consiglio di Stato che il carattere eccezionale, e quindi di stretta interpretazione, della disposizione censurata impedisca di estenderne l’applicazione oltre i casi da essa espressamente previsti. Ciò, in particolare, osterebbe all’inclusione nella stabilizzazione di lavoratori i quali, come i ricorrenti nel giudizio a quo, non abbiano maturato tutto il periodo minimo lavorativo utile per la stabilizzazione all’interno del quinquennio anteriore all’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, cioè a partire dal 1° gennaio 2002.

1.3. – L’impossibilità di adottare qualunque interpretazione della disposizione censurata che valga ad estendere la stabilizzazione ai ricorrenti impone, secondo il collegio, di esaminare la questione di legittimità costituzionale della stessa, la quale appare al medesimo collegio non manifestamente infondata, «per le ragioni già evidenziate (…) nella ordinanza n. 2230 del 2008». Ritiene, infatti, il Consiglio di Stato che la norma applicabile al caso in esame penalizzi proprio coloro i quali, poiché vincitori di concorso, siano stati immessi con effetto immediato, rispetto a quanti, ove collocati nella medesima graduatoria come idonei non vincitori, abbiano dovuto attendere il verificarsi di condizioni ulteriori, tali da permettere loro di maturare il requisito temporale previsto nell’arco del quinquennio rilevante, ossia a far data dal 1° gennaio 2002.

Il sistema così delineato, ad avviso del collegio, consentirebbe a «posizioni deteriori, quali quelle proprie di soggetti non vincitori della procedura concorsuale», di ricevere un trattamento più vantaggioso rispetto a «quelle dei vincitori del medesimo concorso, discriminati in base al dato temporale dell’inizio del rapporto lavorativo, che costituisce invece indice di una migliore valutazione del merito comparativo».

Tale effetto, secondo il Consiglio di Stato, porrebbe la disposizione censurata in contrasto con l’art. 3 Cost., che «vieta che a situazioni maggiormente meritevoli sia applicato il trattamento deteriore», e con l’art. 97 Cost., che impone che «la scelta degli impiegati proceda a partire dai più meritevoli». Aggiunge il collegio che l’avere assunto, quale requisito per la stabilizzazione, «un dato temporale del tutto accidentale, svincolato da un riferimento (quale, ad esempio, l’inserimento nella medesima graduatoria e il relativo momento di esaurimento) valevole a ricondurre nello stesso trattamento situazioni simili», sarebbe incoerente rispetto alla finalità perseguita dalla norma, che «va individuata nella opportunità di dare stabilità a rapporti di lavoro precario, a vantaggio dei lavoratori e dell’amministrazione alla quale essi sono applicati».

Ad avviso del collegio, in conclusione, l’art. 1, comma 519, della legge n. 296 del 2006 – per la parte in cui preclude la stabilizzazione dei soggetti entrati in servizio in data anteriore al quinquennio precedente l’entrata in vigore della legge stessa (e, quindi, precedentemente al periodo compreso tra il 1° gennaio 2002 e il 1° gennaio 2007) – lederebbe gli artt. 3 e 97 Cost.

2. – Con memoria depositata in data 31 marzo 2009 si sono costituiti in giudizio il signor C.B. ed altri trentadue vigili del fuoco volontari, tutti ricorrenti nel giudizio principale, instando per la declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione legislativa censurata.

Innanzitutto, perché, escludendo dalla stabilizzazione chi è volontario da decenni (per la cui anzianità ed esperienza professionale sarebbe stata indetta, appunto, la selezione de qua), ma negli ultimi cinque anni di servizio ha prestato meno di centoventi giorni, sortirebbe un risultato diametralmente opposto alla ratio della procedura selettiva indetta dal Ministero dell’interno, assicurando un trattamento migliore per posizioni deteriori quanto ad esperienza professionale ed anzianità di servizio.

In secondo luogo, per « … aver assunto a requisito per la stabilizzazione del personale precario nel Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco un dato temporale del tutto accidentale ed arbitrario, svincolato da un riferimento oggettivo (quale, ad esempio, l’inserimento nella medesima graduatoria e il relativo momento di esaurimento) valevole a ricondurre nello stesso trattamento situazioni simili, a tutto svantaggio di quelle che risultano più meritevoli». Avendo il collegio evidenziato «la necessità di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 519, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nella parte in cui preclude la stabilizzazione per i soggetti entrati in servizio in data anteriore al quinquennio precedente l’entrata in vigore della legge stessa (e, quindi, precedentemente al periodo compreso tra il 1° gennaio 2002 e il 1° gennaio 2007)», le parti private prospettano come unico intervento additivo possibile, senza discrezionalità alcuna, per riportare la fattispecie normativa a conformità con la Costituzione, l’individuazione (anche sotto forma di principio) del requisito occorrente per la stabilizzazione del personale precario nel possesso dei titoli nel quinquennio precedente la data del 1° gennaio 2007.

2.1. – Gli originari ricorrenti nel giudizio a quo, infine, hanno depositato in data 23 agosto 2010 una memoria illustrativa, insistendo nella declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 519, della legge n. 296 del 2006 per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Richiamato il testo dell’ordinanza di rimessione e ribadita la rilevanza della questione nei loro confronti, pongono, anzitutto, in risalto il contrasto della norma denunciata con il canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., che vieta di applicare il trattamento deteriore a situazioni maggiormente meritevoli (come nella specie la propria, quanto a titoli, esperienza professionale ed anzianità di servizio), nonché con l’art. 97 Cost., che impone che i pubblici uffici siano retti da regole di efficienza e buon andamento e, quindi, che la scelta proceda dai più capaci e meritevoli. In particolare, stigmatizzano l’esclusione di chi, essendo come loro, volontario da decenni presso il Comando provinciale dei vigili del fuoco di Messina e Trapani, negli ultimi cinque anni di servizio aveva prestato meno di centoventi giorni, sostenendo che in Sicilia l’alto numero di volontari aveva determinato l’impiego dei soggetti con più titoli e maggiore esperienza in epoca ormai risalente, così da favorire, ai fini della stabilizzazione, i colleghi collocati in graduatoria in posizione subordinata, i quali per pura casualità avrebbero prestato servizio negli ultimi anni. Sarebbe stato in tal modo disatteso l’insegnamento della Corte costituzionale secondo cui la stabilizzazione di personale in posizione precaria si presume funzionale alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione in ragione dell’esperienza acquisita (sentenza n. 274 del 2003).

Sotto altro profilo, la norma sarebbe costituzionalmente illegittima per avere assunto a requisito per la stabilizzazione del personale precario nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco un dato temporale del tutto accidentale ed arbitrario, sganciato da un riferimento oggettivo e ragionevole (quale, ad esempio, l’inserimento nella medesima graduatoria e il relativo momento di esaurimento), volto a trattare allo stesso modo situazioni simili, per di più a detrimento di quelle più meritevoli. Da questo punto di vista, la limitazione della rilevanza temporale del requisito dei centoventi giorni di servizio all’interno del quinquennio precedente la data del 1° gennaio 2007 sarebbe valso irragionevolmente ad operare una drastica ed arbitraria riduzione dei candidati, urtando contro le regole del pubblico concorso (sentenze n. 159 e n. 190 del 2005).

Pertanto, l’unico intervento additivo-sostitutivo possibile, senza discrezionalità alcuna, per riportare la fattispecie normativa a conformità con la Costituzione dovrebbe – a loro avviso – espungere dalla norma impugnata il vincolo temporale del quinquennio, risolvendosi nella declaratoria dell’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 519, della legge n. 296 del 2006, nella parte in cui prevede la stabilizzazione per i soggetti in servizio per almeno tre anni «nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge», anziché «anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge».

Da ultimo, i procuratori dei ricorrenti nel giudizio principale già costituiti con memoria depositata il 31 marzo 2009 hanno dichiarato di rinunziare al mandato nel presente giudizio limitatamente alle posizioni di V.F.N., G.C., A.G.N., A.V., F.C., R.P., D.L.S., S.B. e M.S.

3. – Con atto depositato il 21 ottobre 2009, fuori termine, sono intervenuti in giudizio il signor G.B. ed altri venticinque vigili del fuoco volontari, anch’essi esclusi dalla procedura selettiva indetta con d.m. 27 agosto 2007, n. 3747, e soccombenti in primo grado in altro analogo giudizio promosso innanzi al TAR del Lazio avverso le note ministeriali che avevano loro negato accesso alla procedura de qua.

Considerato in diritto

1. – Viene all’esame di questa Corte la questione di legittimità costituzionale sollevata, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dal Consiglio di Stato, relativamente all’articolo 1, comma 519, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), nella parte in cui prevede « (…) Nei limiti del presente comma, la stabilizzazione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è consentita al personale che risulti iscritto negli appositi elenchi, di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, da almeno tre anni ed abbia effettuato non meno di centoventi giorni di servizio».

2. – Il Consiglio di Stato ritiene violati gli articoli 3 e 97 della Costituzione.

3. – Preliminarmente, dev’essere dichiarato inammissibile, in quanto tardivo, l’intervento spiegato con atto depositato in data 21 ottobre 2009 dai signori G.B., S.P., S.B., A.T., R.A., C.L.I, P.C.C., C.M., A.M., G.B., N.D.G., A.N., F.L., A.M., B.R., G.A.C., G.P., G.C., V.V., S.F., G.C., A.M., A.P., F.B., P.R. e A.D.C.

Ai sensi dell’art. 4, comma 4, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, infatti, l’atto di intervento «deve essere depositato non oltre venti giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’atto introduttivo del giudizio» (nella specie, l’ordinanza di rimessione é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, n. 11 del 18 marzo 2009).

L’anzidetto termine, così come quello stabilito per la costituzione delle parti, per costante orientamento di questa Corte, deve essere ritenuto perentorio, donde l’inammissibilità dell’intervento (da ultimo, sentenze n. 263 del 2009 e n. 215 del 2009).

4. – Il Consiglio di Stato sospetta di illegittimità costituzionale la norma, contenuta nell’art. 1, comma 519, della legge n. 296 del 2006, che disciplina la stabilizzazione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in quanto ritiene che in base ad essa «posizioni deteriori, quali quelle proprie di soggetti non vincitori della procedura concorsuale», finirebbero per ricevere un trattamento più vantaggioso rispetto a «quelle dei vincitori del medesimo concorso, discriminati in base al dato temporale dell’inizio del rapporto lavorativo, che costituisce invece indice di una migliore valutazione del merito comparativo».

Tale effetto, secondo il Consiglio di Stato, porrebbe la disposizione censurata in contrasto con l’art. 3 Cost., il quale «vieta che a situazioni maggiormente meritevoli sia applicato il trattamento deteriore», e con l’art. 97 Cost., il quale impone che «la scelta degli impiegati proceda a partire dai più meritevoli». Inoltre, ad avviso del collegio, l’indicazione come requisito per la stabilizzazione di «un dato temporale del tutto accidentale, svincolato da un riferimento (quale, ad esempio, l’inserimento nella medesima graduatoria e il relativo momento di esaurimento) valevole a ricondurre nello stesso trattamento situazioni simili», sarebbe incoerente rispetto alla finalità perseguita dalla norma, «individuata nella opportunità di dare stabilità a rapporti di lavoro precario, a vantaggio dei lavoratori e dell’amministrazione alla quale essi sono applicati».

Il collegio auspica, dunque, che questa Corte intervenga ad assicurare la compatibilità della disposizione censurata con gli invocati parametri costituzionali.

Tale intervento dovrebbe tradursi nell’eliminazione dell’ostacolo temporale posto dalla norma impugnata alla stabilizzazione dei soggetti entrati in servizio in data anteriore al quinquennio precedente la data di entrata in vigore della legge n. 296 del 2006 (e quindi antecedentemente al periodo compreso tra il 1° gennaio 2002 e il 1° gennaio 2007).

5. – La questione non è fondata.

L’art. 1, comma 519, della legge n. 296 del 2006 ha lo scopo di inserire in pianta stabile i lavoratori assunti a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni che, ai sensi dell’art. 1, comma 95, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), negli anni 2005, 2006 e 2007, erano state assoggettate al divieto di assunzione di personale a tempo indeterminato. Per il raggiungimento della predetta finalità le pubbliche amministrazioni avrebbero potuto attingere al fondo di cui al combinato disposto degli artt. 1, comma 513, della legge n. 296 del 2006, e 1, comma 96, della legge n. 311 del 2004. Nel perseguire tale obiettivo, il legislatore ha richiesto il conseguimento da parte dei prestatori di lavoro del prescritto requisito di anzianità lavorativa, vale a dire l’espletamento del servizio per almeno tre anni, anche non conti nuativi, per il personale contemplato nel primo periodo del succitato art. 1, comma 519 e, per almeno centoventi giorni, per i volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco contemplati nel quarto periodo, ma al tempo stesso ha circoscritto l’ambito di operatività del beneficio esclusivamente al quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, ossia al periodo compreso tra il 1° gennaio 2002 e il 1° gennaio 2007.

5.1. – Così ricostruitane la ratio, la norma impugnata è immune dai vizi denunciati, sottraendosi anzitutto alla censura di violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Questa Corte – nell’affrontare un’analoga questione di legittimità costituzionale riguardante la prima parte della disposizione qui impugnata – ha escluso che ai fini dell’accesso a questa ipotesi di stabilizzazione «(…) possano essere significative le posizioni occupate nelle eventuali graduatorie di merito o ad esse relative», dovendosi attribuire rilievo – come «requisito minimo ai fini dell’accertamento della professionalità» – al mero dato del superamento di una qualsiasi prova selettiva, indipendentemente dalla posizione di vincitore di concorso o di idoneo (ordinanza n. 70 del 2009).

Allo stesso modo, si deve ritenere che anche il triennio di iscrizione negli appositi elenchi istituiti presso i comandi provinciali competenti ed i centoventi giorni di servizio effettivo, specificamente previsti per l’ingresso nella procedura di stabilizzazione riservata ai vigili del fuoco volontari, sono requisiti minimi attitudinali, rispetto ai quali la maggiore o minore “anzianità” non assume alcun valore ai fini dello scrutinio del merito comparativo.

L’intento del legislatore è stato quello, infatti, di stabilizzare personale volontario dei vigili del fuoco munito di comprovata e aggiornata professionalità. La preferenza accordata ai lavoratori effettivamente utilizzati per almeno centoventi giorni negli ultimi cinque anni rispetto agli altri rimasti inattivi, seppure iscritti da più tempo negli appositi elenchi, soddisfa tale esigenza.

Infatti, proprio l’avere svolto attività lavorativa, per il periodo rilevante, nel quinquennio anteriore all’entrata in vigore della legge finanziaria 2007, é indice di capacità operative nuovamente esercitate e collaudate, sì da rendere plausibilmente più affidabili e meritevoli i vigili del fuoco volontari concretamente impegnati in un passato piuttosto recente.

Peraltro, non è da escludere che la mancata prestazione di lavoro negli ultimi cinque anni possa essere dipesa dall’esistenza di occupazioni alternative che non abbiano consentito di richiamare in servizio vigili del fuoco volontari pure potenzialmente interessati, inducendo il legislatore – anche sotto tale profilo non irragionevolmente – a favorire invece la stabilizzazione del personale volontario nello stesso tempo impiegato, perché disoccupato.

5.2. – Quanto poi all’ulteriore contrasto con l’art. 3 Cost. per la denunziata incongruenza del parametro temporale prescelto, la disposizione che consente di stabilizzare il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è norma di carattere eccezionale.

Sicché, nell’ambito della discrezionalità che va riconosciuta al legislatore nella modulazione delle discipline di natura derogatoria (in tal senso, sentenza n. 376 del 2008 e ordinanza n. 59 del 2010), il limite quinquennale è con tutta evidenza, non solo coerente con la finalità di premiare le professionalità più aggiornate, ma altresì sorretto da insuperabili esigenze economiche sottese alle dimensioni contenute del fondo da cui attingere i mezzi necessari alla stabilizzazione. Il vincolo delle risorse disponibili, insomma, preclude – non irragionevolmente – l’adozione di requisiti talmente ampi da determinare un’eccessiva crescita degli aspiranti, con oneri insostenibili per la finanza pubblica.

Né, infine, può essere considerata di per sé sola arbitraria, come più volte affermato da questa Corte (ex multis, sentenza n. 430 del 2004 e ordinanza n. 439 del 2001), l’opzione legislativa di valorizzare la collocazione temporale del servizio prestato ai fini del riconoscimento di un dato beneficio in favore di pubblici dipendenti.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 519, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, dal Consiglio di Stato con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


Fare clic con il pulsante destro del mouse qui per scaricare le immagini. Per motivi di riservatezza, il download automatico dell'immagine da Internet non è stato eseguito.
pronuncia precedenteFare clic con il pulsante destro del mouse qui per scaricare le immagini. Per motivi di riservatezza, il download automatico dell'immagine da Internet non è stato eseguito.
Pronuncia successiva

SENTENZA N. 304

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 24-bis, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181 (Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, promosso dal Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra E.M.M. ed il Ministero dello sviluppo economico ed altra, con ordinanza del 2 ottobre 2008, iscritta al n. 154 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti gli atti di costituzione di E.M.M. e di R.L., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi gli avvocati Massimo Coccia e Luca Pardo per E.M.M. e l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Con ordinanza del 2 ottobre 2008 il Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 24-bis, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181 (Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, per asserito contrasto con gli articoli 97 e 98 della Costituzione.

Il giudice remittente espone che la ricorrente, dott.ssa E.M.M., aveva chiesto, con ricorso proposto ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, di essere reintegrata nell’incarico di direttore dell’ufficio di Gabinetto del Ministro dello sviluppo economico e nel relativo contratto individuale di lavoro. In particolare, la ricorrente aveva dedotto che tale incarico le era stato conferito, secondo quanto previsto dall’art. 19, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 17 gennaio 2008, per la durata di quattro anni a decorrere dal 14 gennaio 2008. Con successiva nota del 23 maggio 2008 il Ministro dello sviluppo economico le aveva comunicato, «per mera conoscenza», la decadenza immediata dall’incarico dirigenziale generale in applicazione della norma ce nsurata, secondo la quale «all’atto del giuramento del Ministro, tutte le assegnazioni di personale, ivi compresi gli incarichi anche di livello dirigenziale e le consulenze e i contratti, anche a termine», conferiti nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione «decadono automaticamente ove non confermati entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro». Il successivo comma 24-ter dell’art. 1 stabilisce che: «il termine di cui all’articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dal comma 24-bis del presente articolo, decorre, rispetto al giuramento dei Ministri in carica alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, da tale ultima data. Sono fatti salvi, comunque, le assegnazioni e gli incarichi conferiti successivamente al 17 maggio 2006».

Il giudice a quo riferisce, inoltre, di avere disposto, con ordinanza del 13 agosto 2008, la integrazione del contraddittorio nei confronti della controinteressata, dott.ssa R.L., nominata in luogo della ricorrente.

1.1.— Ciò premesso, il giudice a quo osserva, sotto il profilo della rilevanza della questione, che nella controversia in esame non potrebbe trovare applicazione, come ritenuto dalla ricorrente, il riportato comma 24-ter, in quanto detta norma «disciplina un profilo di diritto intertemporale, connesso all’emanazione del decreto-legge n. 181 del 2006 a seguito del mutamento della compagine governativa (entrata in carica del Governo presieduto dall’onorevole Prodi) e, quindi, con riferimento, sostanzialmente, agli incarichi dirigenziali conferiti dal precedente Governo». Ne consegue che troverebbe applicazione il censurato art. 1, comma 24-bis, il quale precluderebbe la reintegra della ricorrente nell’incarico dirigenziale di livello generale.

Si aggiunge, inoltre, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla controinteressata, l’incarico in questione non potrebbe ritenersi di diretta collaborazione. Gli artt. 2, 3, 6, e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 20 settembre 2007, n. 187 (Regolamento di organizzazione degli uffici di diretta collaborazione del Ministro dello sviluppo economico), infatti, «nell’enumerare l’ufficio di diretta collaborazione del Ministro comprende anche l’ufficio di Gabinetto, ma ne individua quale titolare il “capo dell’ufficio di Gabinetto”, con il quale viene ad instaurarsi un rapporto di fiducia politica e non soltanto tecnica»; all’ufficio di Gabinetto, prosegue il remittente, «sono quindi, come pure agli altri uffici, preposti dei dirigenti generali, quale “personale di diretta collaborazione”, con i quali si instaura un rapporto di fiducia tecnica».

1.2.— Alla luce di quanto sopra, il giudice remittente assume il contrasto della norma impugnata con gli articoli 97 e 98 Cost., in quanto tale norma, come affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 103 del 2007 e n. 161 del 2008, «determinando una interruzione automatica del rapporto di ufficio ancora in corso prima dello spirare del termine stabilito, viola, in carenza di garanzie procedimentali, il principio costituzionale di continuità dell’azione amministrativa che è strettamente correlato a quello di buon andamento dell’azione stessa».

1.3.— Il giudice a quo conclude affermando, «in punto di rilevanza della questione», che sussisterebbe il requisito del pregiudizio grave e irreparabile per la ricorrente, posto che l’incarico è stato conferito ad altro dirigente, con assegnazione della ricorrente ad un incarico di seconda fascia, il che avrebbe determinato «prevedibili effetti negativi sulla sua immagine professionale e verosimili ricadute non positive sul suo futuro sviluppo di carriera (ovvero sulla possibilità di attribuzione di ulteriori incarichi)»; inoltre, la documentazione medica depositata testimonierebbe «uno stato di disagio psicosomatico, verosimilmente riconducibile alla repentina cessazione dell’incarico stesso, concretizzando in tale modo un pregiudizio non ristorabile soltanto in via economica».

Si deduce, infine, come, alla luce della stessa giurisprudenza costituzionale (citata sentenza n. 161 del 2008), sia possibile sollevare questione di costituzionalità anche nel corso di un procedimento instaurato ai sensi dell’art. 700 cod. prov. civ.

2.— È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, assumendo che la questione proposta non sarebbe fondata.

Si rileva, innanzitutto, come sia inconferente il richiamo alla sentenza n. 103 del 2007 della Corte costituzionale.

Con tale sentenza è stata dichiarata, infatti, l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 7, della legge 15 luglio 2002, n. 145 (Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato), che prevedeva un sistema di cessazione automatica e generalizzata degli incarichi una tantum.

La normativa impugnata contemplerebbe una disciplina diversa, in primo luogo, perché la decadenza dall’incarico è subordinata alla mancata conferma da parte dell’amministrazione; in secondo luogo, perché il meccanismo previsto opera soltanto nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione con il Ministro (tra i quali certamente rientra anche l’ufficio di Gabinetto che la ricorrente era stata chiamata a dirigere); infine, perché non è stato contemplato un sistema di spoils system una tantum, bensì un sistema che opera solo quando vi sia un cambio di vertice del Ministero con la nomina di un nuovo Ministro.

Tali differenziazioni, sottolinea sempre la difesa dello Stato, sarebbero, inoltre, idonee a rendere la disposizione censurata immune dai vizi di costituzionalità denunciati dal giudice a quo.

Analoghe considerazioni varrebbero in ordine al richiamo operato dal Tribunale remittente alla sentenza n. 161 del 2008 della Corte costituzionale.

La difesa dello Stato rileva, poi, come non sarebbe configurabile la distinzione, operata nell’ordinanza di rimessione, nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione, tra ruoli che implicano una fiducia politica e ruoli che implicano una fiducia tecnica. Infatti, si osserva come ciò che distinguerebbe gli uffici di diretta collaborazione (cosiddetti uffici di staff) da quelli incardinati nella struttura del Ministero (cosiddetti uffici di line) sarebbe «l’assenza per i primi di qualsivoglia riferimento a parametri codificati che costituiscano presupposto per ricoprire incarichi». A conferma di quanto riportato si rileva che la normativa impugnata consentirebbe la nomina intuitu personae in uffici di diretta collaborazione e cioè sulla base di scelte esclusivamente fiduciarie, che, in quanto tali, non impongono il rispetto dell’iter previsto per il trasferimento del personale assegnato agli uffici di line. Inoltre, ancora secondo la difesa dello Stato, «negli uffici di diretta collaborazione non si svolge alcuna attività amministrativa riferibile al rapporto ordinario di ufficio del dipendente con la sua amministrazione di appartenenza, bensì si collabora nel tenere il collegamento tra l’organo politico di vertice e la struttura che esso è chiamato a dirigere mercè l’incarico di Governo». Inoltre, in presenza degli uffici che vengono in rilievo in questa sede, da un lato, i rapporti con l’esterno avvengono in nome e per conto del vertice politico, dall’altro, è prevista una specifica indennità volta a «compensare» non solo il «disagio derivante dal dovere di effettuare la prestazione lavorativa al di fuori degli ordinari orari di lavoro», ma anche la precarietà del rapporto fiduciario. Ne conseguirebbe che «non sono rinvenibili aspetti legati all’ordinario rapporto di servizio, sia in tema di giudizio sulla diligenza che di va lutazione delle attitudini a svolgere le mansioni ricoperte, tant̵ 7;è che in nessun caso la rimozione da tali uffici, proprio perché non necessitante di motivazione, è idonea a creare conseguenze pregiudizievoli sulla carriera del soggetto interessato».

3.— Si è costituita in giudizio la ricorrente nel giudizio a quo, la quale, sviluppando argomentazioni analoghe a quelle contenute nell’ordinanza di rimessione, ha chiesto che la questione di costituzionalità sollevata venga accolta.

4.— Si è costituita in giudizio anche la controinteressata costituita nel giudizio a quo, la quale, dopo aver ricordato, in punto di fatto, gli aspetti principali della vicenda contenziosa oggetto del giudizio a quo, ha dedotto che la questione di costituzionalità sarebbe inammissibile, in primo luogo, perché il giudice remittente non avrebbe reso esplicite le ragioni per le quali assume la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione sollevata; in secondo luogo, perché la ricorrente, avendo chiesto che le venisse attribuito l’incarico revocato e non un incarico equivalente, avrebbe dovuto impugnare l’atto di nomina della controinteressata in quell’incarico. A tale proposito, si osserva come gli atti di revoca e di nomina siano autonomi, con la conseguenza che l’eventuale declaratoria di illegittimità del primo non potrebbe comportare un travolgimento del secondo.

Nel merito la interveniente deduce anche la infondatezza della questione per ragioni analoghe a quelle formulate dall’Avvocatura generale dello Stato.

5.— Nell’imminenza dell’udienza pubblica l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria con la quale ha ribadito le argomentazioni difensive che deporrebbero per la infondatezza della questione, aggiungendo che la stessa sarebbe anche inammissibile per difetto di rilevanza.

Considerato in diritto

1.— Il Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, con ordinanza del 2 ottobre 2008, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 24-bis, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181 (Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, per asserito contrasto con gli articoli 97 e 98 della Costituzione.

In particolare, la norma censurata, modificando il secondo comma dell’art. 14 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), prevede che «all’atto del giuramento del Ministro, tutte le assegnazioni di personale, ivi compresi gli incarichi anche di livello dirigenziale e le consulenze e i contratti, anche a termine», conferiti nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione, «decadono automaticamente ove non confermati entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro».

Secondo il giudice a quo, tale norma violerebbe gli artt. 97 e 98 Cost., in quanto, «determinando una interruzione automatica del rapporto di ufficio ancora in corso prima dello spirare del termine stabilito», sarebbe, «in carenza di garanzie procedimentali», contraria «al principio costituzionale di continuità dell’azione amministrativa che è strettamente correlato a quello di buon andamento dell’azione stessa».

2.— Appare opportuno ricostruire, brevemente, la vicenda oggetto del giudizio a quo.

Alla ricorrente era stato conferito, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 17 gennaio 2008, ai sensi dell’art. 19, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, l’incarico di direttore dell’ufficio di Gabinetto del Ministro dello sviluppo economico, per la durata di quattro anni; nel provvedimento di attribuzione della funzione dirigenziale era fatta comunque salva l’applicazione della norma censurata.

Con nota del 23 maggio 2008 il Ministro le aveva comunicato, «per mera conoscenza», la decadenza immediata dell’incarico dirigenziale generale in attuazione della predetta norma.

A seguito di tale comunicazione la ricorrente aveva proposto ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile per essere reintegrata nel posto di lavoro.

3.— Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla controinteressata, sul presupposto della assenza di motivazione in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza della questione, nonché della mancata contestazione del provvedimento di conferimento del proprio incarico.

A tale proposito, deve rilevarsi come il giudice a quo abbia adeguatamente indicato le ragioni che, a suo avviso, depongono per il contrasto della norma con gli evocati parametri costituzionali. Per quanto attiene, poi, al giudizio sulla rilevanza, il remittente ha addotto una motivazione non implausibile, senza che possa essere di ostacolo l’omessa contestazione dell’incarico medio tempore assegnato ad altro dirigente; tale ultimo profilo potrebbe incidere eventualmente soltanto sulle modalità di tutela ottenibili all’esito del giudizio.

4.— Nel merito, la questione non è fondata.

5.— La norma impugnata contempla un sistema di spoils system applicato alle assegnazioni di personale, compresi gli incarichi di livello dirigenziale, conferiti nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione con il Ministro.

L’analisi della questione sollevata presuppone che siano richiamati, in via preliminare, da un lato, gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale in ordine al rapporto tra politica e amministrazione, dall’altro, le linee essenziali della normativa che definisce le funzioni esercitate dai Ministri e dagli uffici di diretta collaborazione. Ciò al fine di stabilire quale sia la natura dell’attività svolta dai predetti uffici e quindi la loro esatta collocazione nel complessivo quadro dei rapporti tra gli organi di governo e quelli di gestione.

5.1.— In relazione al primo profilo, deve rilevarsi come la giurisprudenza costituzionale sia ormai costante nel ritenere che debba essere assicurata una chiara distinzione tra funzioni politiche e funzioni amministrative di tipo dirigenziale, al fine di assicurare, in particolare, la piena attuazione dei principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità dell’azione della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). Perché possa in concreto operare tale differenziazione di compiti è necessario, altresì, come puntualizzato da questa Corte, che il rapporto di ufficio, pur se caratterizzato dalla temporaneità dell’incarico, sia connotato «da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare» l’effettivo rispetto dei principi consacrati dal citato art. 97 Cost. (sentenza n. 103 del 2007). In questa prospettiva i meccanismi di decadenza automatica dei predetti rappor ti in corso si pongono in contrasto con l’indicato parametro costituzionale «in quanto pregiudicano la continuità dell’azione amministrativa, introducono in quest’ultima un elemento di parzialità, sottraggono al soggetto dichiarato decaduto dall’incarico le garanzie del giusto procedimento e svincolano la rimozione del dirigente dall’accertamento oggettivo dei risultati conseguiti» (da ultimo, sentenze n. 224 e n. 34 del 2010).

5.2.— Con riferimento al secondo aspetto, è sufficiente porre in evidenza come l’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 attribuisca agli organi di governo le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, che si sostanziano, in particolare, nella definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare e nella verifica della rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Il successivo art. 14, comma 1, dello stesso decreto prevede, poi, che spetta al Ministro, anche sulla base delle proposte dei dirigenti generali, periodicamente: a) definire obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare ed emanare le conseguenti direttive generali per l’attività amministrativa e per la gestione; b) assegnare, a ciascun ufficio di livello dirigenziale generale, una quota-parte del bilancio dell’amministrazione, commisurata alle risorse finanziarie, riferibili ai procedi menti o subprocedimenti attribuiti alla responsabilità dell’ufficio, e agli oneri per il personale e per le risorse strumentali allo stesso assegnati (si veda la sentenza n. 103 del 2007).

Tali funzioni – una volta abbandonato «il modello incentrato esclusivamente sul principio della responsabilità ministeriale, che negava, di regola, attribuzioni autonome ed esterne agli organi burocratici» (citata sentenza n. 103 del 2007) – sono nettamente separate dall’attività gestionale che i dirigenti svolgono mediante apposite strutture organizzative (cosiddetti uffici di line).

In questo ambito, gli uffici di diretta collaborazione con il Ministro (cosiddetti uffici di staff), nella configurazione che di essi ha dato la normativa vigente, svolgono una attività di supporto strettamente correlata all’esercizio delle predette funzioni di indirizzo politico-amministrativo. Lo stesso decreto del Presidente della Repubblica 20 settembre 2007, n. 187 (Regolamento di organizzazione degli uffici di diretta collaborazione del Ministro dello sviluppo economico), vigente al momento della adozione dell’ordinanza di rimessione, prevedeva, al primo comma dell’art. 2, la facoltà del Ministro di avvalersi «per l’esercizio delle funzioni ad esso attribuite dagli articoli 4 e 14 del decreto legislativo n. 165 del 2001, degli uffici di diretta collaborazione». Si è precisato, inoltre, che detti uffici «esercitano le competenze di supporto all’organo di direzione politica e di raccordo tra questo e l’am ministrazione, collaborando alla definizione degli obiettivi ed all’elaborazione delle politiche pubbliche, nonché alla relativa valutazione ed alle connesse attività di comunicazione, con particolare riguardo all’analisi dell’impatto normativo, all’analisi costi-benefici ed alla congruenza fra obiettivi e risultati» (in questo senso anche l’art. 2 del d.P.R. 28 novembre 2008 n. 198, recante «Regolamento di definizione della struttura degli uffici di diretta collaborazione del Ministro dello sviluppo economico», che ha sostituito integralmente il d.P.R. n. 187 del 2007).

5.3.— Alla luce di quanto sopra, emerge come gli uffici di diretta collaborazione svolgano un’attività strumentale rispetto a quella esercitata dal Ministro, collocandosi, conseguentemente, in un contesto diverso da quello proprio degli organi burocratici. Detti uffici, infatti, sono collocati in un ambito organizzativo riservato all’attività politica con compiti di supporto delle stesse funzioni di governo e di raccordo tra queste e quelle amministrative di competenza dei dirigenti.

In questa prospettiva, non assume rilievo, contrariamente a quanto sostenuto dal remittente, la distinzione funzionale tra le attribuzioni del Ministero e quelle degli uffici in esame, dovendo, al contrario, sussistere tra loro una intima compenetrazione e coesione che giustifichi un rapporto strettamente fiduciario finalizzato alla compiuta definizione dell’indirizzo politico-amministrativo.

La separazione di funzioni, che la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto necessaria per assicurare il rispetto, in particolare, dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa, deve essere assicurata, pertanto, esclusivamente tra l’attività svolta dai Ministri, con il supporto degli uffici di diretta collaborazione, e quella esercitata dagli organi burocratici, cui spetta la funzione di amministrazione attiva.

5.4.— Chiarito ciò, deve ritenersi non difforme dagli evocati parametri costituzionali la norma, contenuta nella disposizione censurata, che prevede la interruzione del rapporto in corso con il personale, compreso quello dirigenziale, assegnato agli uffici di diretta collaborazione al momento del giuramento di un nuovo Ministro, ove non confermato entro trenta giorni dal giuramento stesso. La previsione in esame, infatti, si giustifica in ragione del rapporto strettamente fiduciario che deve sussistere tra l’organo di governo e tutto il personale di cui esso si avvale per svolgere l’attività di indirizzo politico-amministrativo. Al momento del cambio nella direzione del Ministero è, pertanto, legittimo prevedere l’azzeramento degli incarichi esistenti, che possono essere confermati qualora il Ministro stesso ritenga che il personale in servizio possa godere della sua fiducia.

In definitiva, così come la nomina del personale, compreso quello dirigenziale, può avvenire, in base alla normativa vigente, intuitu personae, senza predeterminazione di alcun rigido criterio che debba essere osservato nell’adozione dell’atto di assegnazione all’ufficio, allo stesso modo, e simmetricamente, è possibile in qualunque momento interrompere il rapporto in corso qualora sia venuta meno la fiducia che deve caratterizzare in maniera costante lo svolgimento del rapporto stesso.

Per le ragioni indicate, pertanto, non è ravvisabile il denunciato contrasto della norma censurata con gli evocati parametri costituzionali.

5.5.— Né si potrebbe obiettare, come fa il giudice a quo, che quanto sin qui esposto non varrebbe per tutto il personale, ma soltanto, avendo riguardo alla specifica controversia in esame, per il capo di Gabinetto.

L’attuale configurazione degli uffici di diretta collaborazione impedisce, infatti, in linea con i compiti ad essi assegnati, di scindere l’attività di chi svolge funzioni “apicali” da quella espletata dal personale addetto allo stesso ufficio. Non è senza rilievo che l’art. 3 del d.P.R. n. 198 del 2008 prescrive che «l’ufficio di Gabinetto coadiuva il capo di Gabinetto per le competenze proprie e per quelle delegate dal Ministro. L’ufficio di Gabinetto coordina in particolare la cura dei rapporti con gli altri organi costituzionali, con le autorità indipendenti e con il Consiglio di Stato e cura altresì l’esame degli atti ai fini dell’inoltro alla firma del Ministro e dei Sottosegretari di Stato. Cura le risposte agli atti parlamentari di controllo e di indirizzo riguardanti il Ministero e il seguito dato agli stessi». In definitiva, pertanto, la unitarietà degli uffici stessi giu stifica, pur nella diversità dei compiti del personale ad essi assegnato, un trattamento normativo omogeneo in relazione alle modalità di cessazione degli incarichi conferiti.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 24-bis, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181 (Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, sollevata, in riferimento agli articoli 97 e 98 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 20 ottobre 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alfonso QUARANTA , Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


Fare clic con il pulsante destro del mouse qui per scaricare le immagini. Per motivi di riservatezza, il download automatico dell'immagine da Internet non è stato eseguito.
pronuncia precedenteFare clic con il pulsante destro del mouse qui per scaricare le immagini. Per motivi di riservatezza, il download automatico dell'immagine da Internet non è stato eseguito.
Pronuncia successiva

ORDINANZA N. 305

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’intera legge della Regione Basilicata 13 novembre 2009, n. 38 (Disciplina della professione di maestro di mountain bike e ciclismo fuoristrada), e, in particolare, degli artt. 1, 2, 4, comma 2, 6, 7, 8, 9, comma 1, 10, 11 e 12 della medesima, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 14 gennaio 2010, depositato in cancelleria il 19 gennaio 2010 ed iscritto al n. 8 del registro ricorsi 2010.

Udito nell’udienza pubblica del 21 settembre 2010 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

udito l’avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con ricorso notificato il 14 gennaio 2010 e depositato il successivo 19 gennaio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’intera legge della Regione Basilicata del 13 novembre 2009, n. 38 (Disciplina della professione di maestro di mountain bike e ciclismo fuoristrada), per violazione dell’art. 117, primo comma, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione, soffermandosi, in particolare, sul contenuto degli artt. 1, 2, 4, comma 2, 6, 7, 8, 9, comma 1, 10, 11 e 12;

che, a parere del ricorrente, l’intera legge regionale deve considerarsi costituzionalmente illegittima in quanto, istituendo e disciplinando la nuova figura professionale del maestro di mountain bike e di ciclismo fuoristrada, ha contravvenuto al costante insegnamento della giurisprudenza costituzionale, la quale ha precisato che «La potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle professioni deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale» (s entenza n. 153 del 2006);

che, inoltre, secondo il ricorrente, gli artt. 12 e 13, comma 4, della legge regionale n. 38 del 2009, nella parte in cui prevedono che il Collegio regionale dei maestri fissi tariffe minime e massime (art. 12), il cui mancato rispetto da parte dei singoli operatori determina l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 13, comma 4, della legge medesima, si porrebbero in contrasto con l’art. 2 del decreto-legge del 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248, che ha espunto dall’ordinamento statale l’obbligatorietà delle tariffe minime, nonché con l’art. 15 della direttiva 2006/123/CE (cosiddetta direttiva servizi), e co n gli artt. 43, 49, 81 e 86 del Trattato UE;

che, pertanto, le disposizioni regionali in oggetto violerebbero l’art. 117, primo comma, Cost., non rispettando i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, nonché l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in materia di tutela della concorrenza;

che la Regione Basilicata non si è costituita nel presente giudizio;

che, con atto depositato il 3 agosto 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato al ricorso, essendone venute meno le ragioni in conseguenza dell’approvazione della legge della Regione Basilicata del 30 dicembre 2009, n. 42 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione annuale e pluriennale della Regione Basilicata legge finanziaria 2010), che, con l’art. 83, ha integralmente abrogato la legge regionale n. 38 del 2009.

Considerato che, in mancanza di costituzione in giudizio della parte resistente, la rinuncia al ricorso comporta, ai sensi dell’art. 25 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l’estinzione del processo (ex plurimis, ordinanze n. 136 del 2009 e n. 48 del 2009).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara estinto il processo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


Fare clic con il pulsante destro del mouse qui per scaricare le immagini. Per motivi di riservatezza, il download automatico dell'immagine da Internet non è stato eseguito.
pronuncia precedenteFare clic con il pulsante destro del mouse qui per scaricare le immagini. Per motivi di riservatezza, il download automatico dell'immagine da Internet non è stato eseguito.
Pronuncia successiva

ORDINANZA N. 306

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 18, comma 1, lettera r), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), promosso dalla Corte di appello di Perugia, nel procedimento penale a carico di G.P., con ordinanza del 2 dicembre 2009 iscritta al n. 109 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2010 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

Ritenuto che la Corte di appello di Perugia, con ordinanza del 2 dicembre 2009 (r.o. n. 109 del 2010), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 18, comma 1, lettera r), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui stabilisce che, «se il mandato d’arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale», la Corte di appello può disporre che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al diritto interno, soltanto «qualora la persona ricercata sia cittadino italiano»;

che il rimettente è investito di un procedimento a carico dell’imputato G.P., cittadino romeno residente in Italia, raggiunto da mandato di arresto europeo n. 3 del 20 novembre 2008 emesso in data 21 novembre 2007, in esecuzione della sentenza penale n. 346 del 6 luglio 2006 della Pretura di Costesti, divenuta irrevocabile il 23 ottobre 2007, per i reati di furto aggravato e guida senza patente;

che risulta agli atti come G.P. sia stabilmente dimorante nel comune di Fossato di Vico (PG) fin dall’anno 2007 unitamente alla famiglia e, ciononostante, alla luce della citata legge n. 69 del 2005, occorrerebbe dare esecuzione alla consegna dell’imputato allo Stato richiedente;

che il giudice a quo deduce la violazione dell’art. 3 Cost. in quanto, sebbene la decisione quadro 2002/584/GAI dia una mera facoltà agli Stati membri della Unione europea di estendere le guarentigie eventualmente riconosciute ai propri cittadini anche agli stranieri residenti sul territorio; tuttavia, una volta introdotta tale parificazione per quanto riguarda il «MAE processuale» (art. 19, comma 1, lettera c), sarebbe del tutto illogico che tale parificazione non sia effettuata dall’ art. 18, comma 1, lettera r), concernente il «MAE esecutivo» di una sentenza di condanna di uno Stato estero, che riserva al solo cittadino italiano il rifiuto della consegna;

che la norma impugnata violerebbe anche l’art. 27, terzo comma, Cost., poiché un soggetto stabilmente residente sul territorio dello Stato, ove ha stabilito il centro dei propri interessi affettivi e lavorativi, sarebbe costretto ad espiare la pena inflittagli in un contesto territoriale a lui ormai estraneo, con pregiudizio di un futuro reinserimento sociale del condannato nello Stato di residenza;

che la disposizione in esame si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in quanto, nel prevedere il rifiuto di consegna per il solo cittadino italiano, non rispetterebbe i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, in particolare dall’art. 4, n. 6, della decisione quadro 2002/584/GAI, laddove non consente di differenziare, in tema di rifiuto della consegna, la posizione del cittadino da quella di residente non cittadino;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Considerato che la Corte di appello di Perugia, dubita, in riferimento agli articoli 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 18, comma 1, lettera r), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui stabilisce che, «se il mandato d’arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale», la Corte di appello può disporre che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al diritto interno, soltanto «qualora la persona ricercata sia cittadino italiano»;

che questa Corte, con la sentenza n. 227 del 2010, successiva alla pubblicazione dell’ordinanza di rimessione, ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, lettera r), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevede il rifiuto di consegna anche del cittadino di un altro Paese membro dell’Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, ai fini dell’esecuzione della pena detentiva in Italia;

che, dunque, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile, essendo venuto meno il limite alla possibilità del rifiuto di consegna, cui si riferisce la censura del rimettente (ordinanze n. 415 e n. 269 del 2008, n. 290 e n. 34 del 2002, n. 575 del 2000).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 18, comma 1, lettera r), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Corte di appello di Perugia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


Fare clic con il pulsante destro del mouse qui per scaricare le immagini. Per motivi di riservatezza, il download automatico dell'immagine da Internet non è stato eseguito.
pronuncia precedenteFare clic con il pulsante destro del mouse qui per scaricare le immagini. Per motivi di riservatezza, il download automatico dell'immagine da Internet non è stato eseguito.
Pronuncia successiva

ORDINANZA N. 307

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito del decreto del dirigente generale del Dipartimento regionale trasporti e comunicazioni della Regione Siciliana del 10 agosto 2009, recante la proroga per un quinquennio della data di scadenza dei contratti di servizio attualmente in corso con le imprese del trasporto pubblico locale, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 13 ottobre 2009, depositato in cancelleria il 20 ottobre 2009 ed iscritto al n. 12 del registro conflitti tra enti 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Siciliana;

udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2010 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

Ritenuto che con ricorso, notificato il 13 ottobre 2009 e depositato il successivo 20 ottobre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Regione Siciliana avverso il decreto del dirigente generale del Dipartimento regionale trasporti e comunicazioni della Regione Siciliana del 10 agosto 2009, pubblicato nella G.U: della Regione Siciliana del 14 agosto 2009, parte I, n. 28, con il quale quest’ultima ha disposto la proroga per un quinquennio della data di scadenza dei contratti di servizio attualmente in corso con le imprese del trasporto pubblico locale;

che, secondo il ricorrente, il predetto provvedimento sarebbe in contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lett. e), Cost., in quanto, disponendo la proroga dei richiamati contratti del trasporto pubblico locale con atto amministrativo e, in via generale, indipendentemente dalla scadenza naturale di ciascun rapporto, invaderebbe le competenze statali in tema di tutela della concorrenza;

che esso violerebbe anche l’art. 117, primo comma, Cost. in quanto lesivo degli obblighi comunitari in tema di affidamento della gestione dei servizi pubblici derivanti dagli artt. 43, 49 e ss. del Trattato CE ed applicabili a tutti i tipi di contratto;

che nel giudizio si è costituita la Regione Siciliana, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque infondato, posto che il provvedimento impugnato, adottato in applicazione di una norma statale, l’art. 61 della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), che ha anticipato l’entrata in vigore dell’art. 8 del Regolamento CE 1370/07 [Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n. 1107/70], il quale ha concesso ai Paesi membri un termine molto ampio (sino al 2019) per adeguare i propri sistemi di affidamento alla tipologia dei contratti pubblici individuata dallo stesso regolamento, non si porrebbe in violazione né delle competenze legislative statali, né dei pr incipi comunitari, né della sfera di competenza costituzionale del ricorrente;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sulla base della delibera del Consiglio dei ministri del 1° marzo 2010, ha depositato atto di rinuncia al conflitto, accettata dalla Regione Siciliana.

Considerato che, ai sensi dell’art. 25, ultimo comma, delle norme integrative per i giudizi dinanzi a questa Corte, la rinuncia al ricorso, seguita dall’accettazione della controparte, comporta l’estinzione del processo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara estinto il processo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


Fare clic con il pulsante destro del mouse qui per scaricare le immagini. Per motivi di riservatezza, il download automatico dell'immagine da Internet non è stato eseguito.
pronuncia precedente

ORDINANZA N. 308

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5, 11 e 13 della legge della Regione Puglia 6 settembre 1999, n. 27 (Istituzione e disciplina del dipartimento delle dipendenze patologiche delle aziende USL), promosso dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione di Lecce, nel procedimento vertente tra F. T. e l’ASL di Lecce, con ordinanza del 7 luglio 2009 iscritta al n. 245 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti gli atti di costituzione di F. T. e della ASL di Lecce;

udito nell’udienza pubblica del 5 ottobre 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;

udito l’avvocato Stefano Rossi per l’ASL di Lecce.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione di Lecce, con ordinanza del 7 luglio 2009, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, 11 e 13 della legge della Regione Puglia 6 settembre 1999, n. 27 (Istituzione e disciplina del dipartimento delle dipendenze patologiche delle aziende USL), nella parte in cui riservano al solo personale medico la direzione delle Sezioni dipartimentali del Dipartimento delle dipendenze patologiche e non anche al personale del ruolo sanitario che riveste il profilo professionale di psicologo;

che il rimettente, in punto di fatto, riferisce che il giudizio principale ha ad oggetto l’impugnazione da parte di un Dirigente Psicologo di I livello, in servizio dal 1989 presso il SERT (Servizio per le Tossicodipendenze) di Copertino, di alcune deliberazioni del Direttore generale dell’ASL di Lecce con le quali è stato disposto, tra l’altro, che le Sezioni dipartimentali del Dipartimento delle dipendenze patologiche siano dirette da un Dirigente medico di II livello, conseguendo da ciò l’impossibilità per il ricorrente di ricoprire i suddetti incarichi;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il TAR rimettente, dopo aver premesso che la questione della quale è stato investito attiene alla disciplina dello stato giuridico del personale sanitario – materia rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione –, rileva che l’art. 2 della legge statale 18 febbraio 1999, n. 45 (Disposizioni per il Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga e in materia di personale dei Servizi per le tossicodipendenze), prevede che gli incarichi di direzione dei SERT devono essere conferiti entro il 31 dicembre 1999 mediante concorsi interni per titoli riservati al personale di ruolo che, in possesso di determinati requisiti, eserciti tali funzioni alla data di entrata in vigore della legge, ovvero che le abbia esercitate dopo il 1° gennaio 1990;

che le disposizioni impugnate, nel riservare al solo personale medico la direzione dei SERT, si porrebbero, dunque, in «evidente contrasto» con la norma statale che non esclude la possibilità per il personale non medico di ricoprire incarichi dirigenziali presso i SERT;

che, sempre a parere del TAR rimettente, le norme impugnate violerebbero, altresì, l’art. 3 della Costituzione, in quanto determinerebbero una «ingiustificata ed illogica discriminazione» a danno del personale del ruolo sanitario che ricopre la qualifica professionale di psicologo;

che, sul piano della rilevanza, il rimettente osserva che «solo la invocata declaratoria di illegittimità costituzionale […] potrebbe evitare» il rigetto del ricorso, posto che i provvedimenti impugnati nel giudizio principale sono stati adottati in applicazione delle disposizioni regionali censurate;

che si è costituito in giudizio F. T., ricorrente nel giudizio principale, concludendo nel senso dell’incostituzionalità delle norme impugnate;

che, in particolare, secondo la parte privata, la normativa regionale censurata comporterebbe una restrizione «arbitraria e senza alcuna motivazione» dell’ambito di operatività della indicata legge n. 45 del 1999, nonché, tenuto conto delle finalità dei SERT, una discriminazione tra le figure professionali (medici e psicologi) ai fini dell’accesso alla dirigenza sanitaria;

che si è costituita in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale (ASL) di Lecce, resistente nel giudizio principale, concludendo per la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate;

che, a parere dell’ASL, la controversia dedotta in giudizio attiene alla materia della tutela della salute, precisamente all’«organizzazione dei servizi destinati alla tutela della salute», sulla quale le Regioni hanno una competenza legislativa concorrente e che il potere legislativo delle Regioni in detta materia sarebbe confermato sia dalla legislazione statale sia dalla giurisprudenza costituzionale.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 5, 11 e 13 della legge della Regione Puglia 6 settembre 1999, n. 27 (Istituzione e disciplina del dipartimento delle dipendenze patologiche delle aziende USL), nella parte in cui riservano al solo personale medico la direzione delle Sezioni dipartimentali del Dipartimento delle dipendenze patologiche e non anche al personale del ruolo sanitario che riveste il profilo professionale di psicologo;

che il rimettente – investito del ricorso proposto da un Dirigente Psicologo di I livello avverso alcune deliberazioni del Direttore generale dell’ASL di Lecce con le quali è stato disposto, tra l’altro, che le Sezioni dipartimentali del Dipartimento delle dipendenze patologiche siano dirette da un dirigente medico di II livello – ritiene che le norme denunciate, in modo irragionevole e discriminatorio rispetto al personale psicologo, si pongano in contrasto con l’art. 2 della legge statale 18 febbraio 1999, n. 45 (Disposizioni per il Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga e in materia di personale dei Servizi per le tossicodipendenze), il quale non esclude la possibilità per il personale non medico di ricoprire incarichi dirigenziali presso i SERT;

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, la disciplina regionale impugnata è stata modificata dall’art. 14, comma 1, lettere a), b) e c), della legge della Regione Puglia 25 febbraio 2010, n. 4 (Norme urgenti in materia di sanità e servizi sociali), che ha eliminato il profilo censurato dal rimettente, relativo all’esclusione del personale sanitario diverso da quello medico dalla direzione delle Sezioni dipartimentali del Dipartimento delle dipendenze patologiche;

che, in particolare, la cennata legge regionale n. 4 del 2010 prevede, tra l’altro, che le suddette Sezioni possono essere dirette sia da dirigenti medici sia da dirigenti «del ruolo sanitario» di secondo livello;

che, pertanto, alla luce di tali modifiche del quadro normativo, occorre disporre la restituzione degli atti al giudice rimettente, affinché proceda ad una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle sollevate questioni (ex plurimis, tra le più recenti, ordinanze n. 162 del 2010, n. 145 del 2010, n. 129 del 2010).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale della Puglia – sezione di Lecce.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA