Sentenze Civili della Corte di Cassazione
#ANNO/NUMERO 2008/26972       #SEZ U                   #NRG 2006/734
#UDIENZA DEL 24/06/2008                      #DEPOSITATO IL 11/11/2008
#MASSIMATA NO

#RICORRENTE          a.L.
#AVV RICORRENTE Gelera Giorgio
#RESISTENTE           s.F.
#AVV RESISTENTE Spadafora Giorgio


                         REPUBBLICA ITALIANA           Ud. 24/06/08
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO   R.G.N.  734/2006
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                        SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE   Vincenzo                      - Primo Presidente  -
Dott. VITTORIA  Paolo                     - Presidente di sezione -
Dott. PREDEN    Roberto                         - rel. Presidente -
Dott. VIDIRI    Guido                               - Consigliere -
Dott. FELICETTI Francesco                           - Consigliere -
Dott. SEGRETO   Antonio                             - Consigliere -
Dott. RORDORF   Renato                              - Consigliere -
Dott. FORTE     Fabrizio                            - Consigliere -
Dott. AMATUCCI  Alfonso                             - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
                              SENTENZA
sul ricorso 734/2006 proposto da:
          A.L.,  elettivamente domiciliato in ROMA,  VIA  GERMANICO
107,   presso  lo  studio  dell'avvocato  GELERA  Giorgio,   che   lo
rappresenta e difende unitamente all'avvocato DAL LAGO UGO, giusta  a
margine del ricorso;
                                                       - ricorrente -
                               contro
           S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA  88,
presso  lo studio dell'avvocato SPADAFORA Giorgio, che lo rappresenta
e difende, giusta delega in calce al controricorso;
                                                 - controricorrente -
                              e contro
ULSS/(OMISSIS);
                                                         - intimata -
avverso  la  sentenza n. 1933/2004 della CORTE D'APPELLO di  VENEZIA,
depositata il 11/11/2004;
udita  la  relazione  della causa svolta nella Pubblica  udienza  del
24/06/2008 dal Presidente Dott. ROBERTO PREDEN;
uditi gli avvocati Ugo DAL LAGO, Giorgio SPADAFORA;
udito  il  P.M.,  in  persona dell'Avvocato Generale  Dott.  IANNELLI
Domenico, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
                      SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
           A.L.,  sottoposto nel (OMISSIS)  ad  intervento
chirurgico   per  ernia  inguinale  sinistra,  subi'  la  progressiva
atrofizzazione  del  testicolo sinistro  che  gli  fu  asportato  nel
(OMISSIS) in seguito ad inutili terapie antalgiche.
Nel  (OMISSIS) convenne in giudizio il Dott.            S.F.
e  la U.L.S.S. n. (OMISSIS) (in seguito n. (OMISSIS)) di (OMISSIS), assumendo che
il secondo intervento era stato reso necessario da errori connessi al
primo e domandando la condanna dei convenuti al risarcimento di tutti
i danni patiti.
Il  Tribunale di Vicenza, con sentenza del 9.7.1998, riconosciuto  il
danno  biologico, condanno' i convenuti a versare all'attore la somma
ulteriore di L. 6.411.484 a titolo di interessi maturati sulla  somma
di  L.  23.000.000  gia'  corrisposta nel 1995 dall'assicuratore  dei
convenuti.
Con sentenza n. 1933/04 la corte d'appello di Venezia ha rigettato il
gravame  dell'     A.  in  punto  di  liquidazione  del  danno  sui
rilievi:  che  dalla espletata consulenza tecnica era inequivocamente
emerso  che la perdita del testicolo non aveva inciso sulla capacita'
riproduttiva, rimasta integra, provocando soltanto un limitato  danno
permanente  all'integrita'  fisica dell'     A.,  apprezzato  nella
misura   del  6%;  che  la  richiesta  di  liquidazione   del   danno
esistenziale,  in  quanto formulata per la prima volta  in  grado  di
appello,  costituiva domanda nuova, come tale inammissibile  ex  art.
345   c.p.c.,   nella  previgente  formulazione;  e  che   del   pari
inammissibili   erano  le  richieste  istruttorie  di   prove   orali
articolate per supportare la relativa domanda.
Avverso   detta   sentenza   ricorre  per   cassazione   l'     A.,
affidandosi  a due motivi, illustrati anche da memoria,  cui  resiste
con controricorso            S.F..
L'intimata  U.L.S.S.  n.  (OMISSIS)  non  ha  svolto  attivita'
difensiva.
All'udienza del 19.12.2007, la terza sezione, rilevato che il ricorso
investe  questione  di particolare importanza, in relazione  al  c.d.
danno  esistenziale,  ha  rimesso la causa al  Primo  Presidente  per
l'eventuale   assegnazione  alle  sezioni   unite,   in   base   alle
considerazioni svolte con l'ordinanza resa nel ricorso n. 10517/2004,
trattato nella medesima udienza, che ha assunto il n. 4712/2008.
Il  Primo  Presidente  ha disposto l'assegnazione  del  ricorso  alle
sezioni unite.
                       MOTIVI DELLA DECISIONE
A) Esame della questione di particolare importanza.
1.  L'ordinanza di rimessione n. 4712/2008 - relativa al  ricorso  n.
10517/2004,  alla quale integralmente rinvia l'ordinanza della  terza
sezione  che eguale questione ha ritenuto sussistere nel  ricorso  in
esame - rileva che negli ultimi anni si sono formati in tema di danno
non  patrimoniale  due  contrapposti orientamenti  giurisprudenziali,
l'uno favorevole alla configurabilita', come autonoma categoria,  del
danno esistenziale - inteso, secondo una tesi dottrinale che ha avuto
seguito  nella  giurisprudenza,  come pregiudizio  non  patrimoniale,
distinto  dal  danno biologico, in assenza di lesione dell'integrita'
psico-fisica,  e  dal  c.d. danno morale soggettivo,  in  quanto  non
attiene  alla  sfera interiore del sentire, ma alla  sfera  del  fare
areddituale del soggetto - l'altro contrario.
Osserva  l'ordinanza  che le sentenze n. 8827 e  n.  8828/2003  hanno
ridefinito   rispetto  alle  opinioni  tradizionali   presupposti   e
contenuti  del  risarcimento del danno non  patrimoniale.  Quanto  ai
presupposti  hanno  affermato  che  il  danno  non  patrimoniale   e'
risarcibile  non  solo nei casi espressamente previsti  dalla  legge,
secondo  la lettera dell'art. 2059 c.c., ma anche in tutti i casi  in
cui  il  fatto  illecito abbia leso un interesse o  un  valore  della
persona  di  rilievo costituzionale non suscettibile  di  valutazione
economica.  Quanto  ai contenuti, hanno ritenuto  che  il  danno  non
patrimoniale,  pur  costituendo una categoria unitaria,  puo'  essere
distinto  in  pregiudizi  di  tipo  diverso:  biologico,  morale   ed
esistenziale.
A  questo orientamento, prosegue l'ordinanza di rimessione,  ha  dato
continuita'  la  Corte  Costituzionale, la  quale,  con  sentenza  n.
233/2003,  nel  dichiarare non fondata la questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  2059  c.c.,  ha  tributato   un   espresso
riconoscimento alla categoria del danno esistenziale,  da  intendersi
quale terza sottocategoria di danno non patrimoniale.
Ricorda  ancora  l'ordinanza di rimessione  che  altre  decisioni  di
legittimita'  hanno  ritenuto ammissibile la configurabilita'  di  un
tertium  genus  di  danno non patrimoniale, definito  "esistenziale":
tale  danno consisterebbe in qualsiasi compromissione delle attivita'
realizzatrici  della persona umana (quali la lesione della  serenita'
familiare   o   del  godimento  di  un  ambiente   salubre),   e   si
distinguerebbe  sia  dal  danno  biologico,  perche'  non  presuppone
l'esistenza di una lesione in corpore, sia da quello morale,  perche'
non   costituirebbe  un  mero  patema  d'animo  interiore   di   tipo
soggettivo.  Tra  le  decisioni rilevanti in  tal  senso  l'ordinanza
menziona  le sentenze di questa Corte n. 7713/2000, n. 9009/2001,  n.
6732/2005,  n. 13546/2006, n. 2311/2007, e, soprattutto, la  sentenza
delle  Sezioni  unite  n. 6572/2006, la quale  ha  dato  una  precisa
definizione  del danno esistenziale da lesione del fare  areddittuale
della  persona, ed una altrettanto precisa distinzione  di  esso  dal
danno  morale,  in  quanto, al contrario di  quest'ultimo,  il  danno
esistenziale non ha natura meramente emotiva ed interiore.
L'ordinanza di rimessione osserva poi che al richiamato orientamento,
favorevole   alla   configurabilita'  del  danno  esistenziale   come
categoria  autonoma di danno non patrimoniale, si e' contrapposto  un
diverso  orientamento, il quale nega dignita' concettuale alla  nuova
figura di danno.
Secondo  questo  diverso  orientamento  il  danno  non  patrimoniale,
essendo  risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, tra i  quali
rientrano,   in   virtu'  della  interpretazione   costituzionalmente
orientata  dell'art. 2059 c.c., fornita dalle sentenze n. 8827  e  n.
8828/2003,   i   casi   di   lesione   di   valori   della    persona
costituzionalmente garantiti, manca del carattere  della  atipicita',
che  invece caratterizza il danno patrimoniale risarcibile  ai  sensi
dell'art.  2043 c.c.. Di conseguenza non sarebbe possibile  concepire
categorie  generalizzanti, come quella del  danno  esistenziale,  che
finirebbero per privare il danno non patrimoniale del carattere della
tipicita'.  Tra  le  decisioni  espressione  di  questo  orientamento
l'ordinanza  menziona le sentenze di questa Corte n.  15760/2006,  n.
23918/2006, n. 9510/2006, n. 9514/2007, n. 14846/2007.
Cosi'   riassunti   i  contrapposti  orientamenti,   l'ordinanza   di
rimessione  conclude invitando le Sezioni unite  a  pronunciarsi  sui
seguenti otto "quesiti".
1.  Se sia concepibile un pregiudizio non patrimoniale, diverso tanto
dal  danno  morale  quanto  dal  danno biologico,  consistente  nella
lesione del fare areddituale della vittima e scaturente dalla lesione
di valori costituzionalmente garantiti.
2.  Se  sia corretto ravvisare le caratteristiche di tale pregiudizio
nella  necessaria sussistenza di una offesa grave ad un valore  della
persona,  e  nel carattere di gravita' e permanenza delle conseguenze
da essa derivate.
3. Se sia corretta la teoria che, ritenendo il danno non patrimoniale
"tipico", nega la concepibilita' del danno esistenziale.
4.  Se  sia  corretta  la  teoria secondo cui il  danno  esistenziale
sarebbe  risarcibile  nel  solo ambito  contrattuale  e  segnatamente
nell'ambito del rapporto di lavoro, ovvero debba affermarsi  il  piu'
generale   principio   secondo  cui  il  danno   esistenziale   trova
cittadinanza  e  concreta applicazione tanto nel campo  dell'illecito
contrattuale quanto in quello del torto aquiliano.
5.  Se  sia  risarcibile un danno non patrimoniale che  incida  sulla
salute intesa non come integrita' psicofisica, ma come sensazione  di
benessere.
6.   Quali  debbano  essere  i  criteri  di  liquidazione  del  danno
esistenziale.
7.  Se  costituisca peculiare categoria di danno non patrimoniale  il
c.d. danno tanatologico o da morte immediata.
8.  Quali siano gli oneri di allegazione e di prova gravanti sul  chi
domanda il ristoro del danno esistenziale.
2.  Il  risarcimento del danno non patrimoniale e' previsto dall'art.
2059  c.c.  ("Danni  non patrimoniali") secondo  cui  "Il  danno  non
patrimoniale  deve  essere risarcito solo nei casi determinati  dalla
legge".
All'epoca   dell'emanazione  del  codice  civile  l'unica  previsione
espressa  del  risarcimento del danno non patrimoniale era  racchiusa
nell'art. 185 cod. pen. del 1930.
La  giurisprudenza,  nel  dare applicazione all'art.  2059  c.c.,  si
consolido' nel ritenere che il danno non patrimoniale era risarcibile
solo  in  presenza di un reato e ne individuo' il contenuto nel  c.d.
danno   morale   soggettivo,  inteso  come  sofferenza   contingente,
turbamento dell'animo transeunte.
2.1.  L'insostenibilita'  di siffatta lettura  restrittiva  e'  stata
rilevata  da questa Corte con le sentenze n. 8827 e n. 8828/2003,  in
cui  si  e'  affermato che nel vigente assetto dell'ordinamento,  nel
quale assume posizione preminente la Costituzione - che, all'art.  2,
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo - il danno non
patrimoniale  deve essere inteso nella sua accezione  piu'  ampia  di
danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona  non
connotati da rilevanza economica.
Sorreggono l'affermazione i seguenti argomenti:
a)  il cospicuo incremento, nella legislazione ordinaria, dei casi di
espresso  riconoscimento del risarcimento del danno non  patrimoniale
anche   al  di  fuori  dell'ipotesi  di  reato,  in  relazione   alla
compromissione di valori personali (L. n. 117 del 1998, art. 2; L. n.
675  del  1996,  art. 29, comma 9; D.Lgs. n. 286 del 1998,  art.  44,
comma  7; L. n. 89 del 2001, art. 2, con conseguente ampliamento  del
rinvio  effettuato  dall'art. 2059 c.c., ai  casi  determinati  dalla
legge;
b) il riconoscimento nella giurisprudenza della Cassazione (a partire
dalla sentenza n. 3675/1981) di quella peculiare figura di danno  non
patrimoniale, diverso dal danno morale soggettivo, che  e'  il  danno
biologico, formula con la quale si designa la lesione dell'integrita'
psichica e fisica della persona;
c)  l'estensione  giurisprudenziale del risarcimento  del  danno  non
patrimoniale, evidentemente inteso come pregiudizio diverso dal danno
morale soggettivo, anche in favore delle persone giuridiche (sent. n.
2367/2000);
d)   l'esigenza   di  assicurare  il  risarcimento  del   danno   non
patrimoniale,  anche  in assenza di reato, nel  caso  di  lesione  di
interessi  di  rango  costituzionale, sia  perche'  in  tal  caso  il
risarcimento  costituisce la forma minima di tutela,  ed  una  tutela
minima  non  e'  assoggettabile a limiti specifici, poiche'  cio'  si
risolve in rifiuto di tutela nei casi esclusi, sia perche' il  rinvio
ai  casi  in  cui  la legge consente il risarcimento  del  danno  non
patrimoniale ben puo' essere riferito, dopo l'entrata in vigore della
Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale,  atteso
che  il  riconoscimento  nella Costituzione dei  diritti  inviolabili
inerenti  la  persona non aventi natura economica implicitamente,  ma
necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso
determinato  dalla  legge, al massimo livello,  di  risarcimento  del
danno non patrimoniale.
2.2.  Queste  Sezioni unite condividono e fanno propria  la  lettura,
costituzionalmente  orientata, data  dalle  sentenze  n.  8827  e  n.
8828/2003 all'art. 2059 c.c., e la completano nei termini seguenti.
2.3.  Il  danno  non patrimoniale di cui parla, nella rubrica  e  nel
testo, l'art. 2059 c.c., si identifica con il danno determinato dalla
lesione  di interessi inerenti la persona non connotati da  rilevanza
economica.
Il  suo  risarcimento  postula la verifica  della  sussistenza  degli
elementi  nei  quali si articola l'illecito civile  extracontrattuale
definito dall'art. 2043 c.c..
L'art.  2059  c.c., non delinea una distinta fattispecie di  illecito
produttiva  di  danno  non patrimoniale, ma consente  la  riparazione
anche  dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla  legge,
nel  presupposto della sussistenza di tutti gli elementi  costitutivi
della struttura dell'illecito civile, che si ricavano dall'art.  2043
c.c.  (e  da  altre  norme,  quali quelle che  prevedono  ipotesi  di
responsabilita'  oggettiva), elementi che consistono nella  condotta,
nel  nesso  causale  tra  condotta  ed  evento  di  danno,  connotato
quest'ultimo   dall'ingiustizia,  determinata  dalla   lesione,   non
giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno  che  ne
consegue  (danno-conseguenza,  secondo  opinione  ormai  consolidata:
Corte cost. n. 372/1994; S.U. n. 576, 581, 582, 584/2008).
2.4.  L'art. 2059 c.c., e' norma di rinvio. Il rinvio e'  alle  leggi
che  determinano i casi di risarcibilita' del danno non patrimoniale.
L'ambito  della risarcibilita' del danno non patrimoniale  si  ricava
dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela.
2.5.  Si  tratta, in primo luogo, dell'art. 185 c.p., che prevede  la
risarcibilita'  del  danno patrimoniale conseguente  a  reato  ("Ogni
reato,  che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale,
obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma  delle
leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui").
2.6. Altri casi di risarcimento anche dei danni non patrimoniali sono
previsti  da  leggi  ordinarie in relazione  alla  compromissione  di
valori  personali (L. n. 117 del 1998, art. 2: danni derivanti  dalla
privazione  della  liberta'  personale  cagionati  dall'esercizio  di
funzioni  giudiziarie; L. n. 675 del 1996, art. 29, comma 9:  impiego
di modalita' illecite nella raccolta di dati personali; D.Lgs. n. 286
del  1998,  art.  44,  comma 7: adozione di atti  discriminatori  per
motivi  razziali,  etnici o religiosi; L. n. 89  del  2001,  art.  2:
mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo).
2.7.  Al  di  fuori dei casi determinati dalla legge, in  virtu'  del
principio  della  tutela  minima risarcitoria  spettante  ai  diritti
costituzionali inviolabili, la tutela e' estesa ai casi di danno  non
patrimoniale  prodotto  dalla lesione di  diritti  inviolabili  della
persona riconosciuti dalla Costituzione.
Per  effetto di tale estensione, va ricondotto nell'ambito  dell'art.
2059  c.c.,  il danno da lesione del diritto inviolabile alla  salute
(art.  32  Cost.) denominato danno biologico, del quale e' data,  dal
D.Lgs.  n.  209  del  2005,  artt. 138 e 139,  specifica  definizione
normativa  (sent. n. 15022/2005; n. 23918/2006). In precedenza,  come
e'  noto, la tutela del danno biologico era invece apprestata  grazie
al collegamento tra l'art. 2043 c.c. e l'art. 32 Cost. (come ritenuto
da  Corte Cost. n. 184/1986), per sottrarla al limite posto dall'art.
2059  c.c.,  norma  nella quale avrebbe ben potuto  sin  dall'origine
trovare  collocazione (come ritenuto dalla successiva sentenza  della
Corte  n.  372/1994 per il danno biologico fisico o psichico sofferto
dal congiunto della vittima primaria).
Trova  adeguata collocazione nella norma anche la tutela riconosciuta
ai  soggetti  che  abbiano  visto lesi i  diritti  inviolabili  della
famiglia  (artt.  2, 29 e 30 Cost.) (sent. n. 8827  e  n.  8828/2003,
concernenti la fattispecie del danno da perdita o compromissione  del
rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidita'
del congiunto).
Eguale  sorte spetta al danno conseguente alla violazione del diritto
alla  reputazione, all'immagine, al nome, alla riservatezza,  diritti
inviolabili della persona incisa nella sua dignita', preservata dagli
artt. 2 e 3 Cost. (sent. n. 25157/2008).
2.8.  La rilettura costituzionalmente orientata dell'art. 2959  c.c.,
come   norma  deputata  alla  tutela  risarcitoria  del   danno   non
patrimoniale  inteso  nella  sua piu'  ampia  accezione,  riporta  il
sistema della responsabilita' aquiliana nell'ambito della bipolarita'
prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale (art.  2043
c.c.)  e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) (sent. n. 8827/2003;
n. 15027/2005; n. 23918/2006).
Sul  piano  della struttura dell'illecito, articolata negli  elementi
costituiti  dalla condotta, dal nesso causale tra questa  e  l'evento
dannoso,  e dal danno che da quello consegue (danno-conseguenza),  le
due ipotesi risarcitorie si differenziano in punto di evento dannoso,
e cioe' di lesione dell'interesse protetto.
Sotto  tale aspetto, il risarcimento del danno patrimoniale da  fatto
illecito  e'  connotato da atipicita', postulando  l'ingiustizia  del
danno  di  cui all'art. 2043 c.c., la lesione di qualsiasi  interesse
giuridicamente  rilevante (sent. 500/1999), mentre quello  del  danno
non  patrimoniale e' connotato da tipicita', perche'  tale  danno  e'
risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi  in  cui
sia  cagionato  da  un evento di danno consistente nella  lesione  di
specifici diritti inviolabili della persona (sent. n. 15027/2005;  n.
23918/2006).
2.9.  La risarcibilita' del danno non patrimoniale postula, sul piano
dell'ingiustizia  del danno, la selezione degli interessi  dalla  cui
lesione consegue il danno. Selezione che avviene a livello normativo,
negli   specifici  casi  determinati  dalla  legge,  o  in   via   di
interpretazione  da  parte del giudice, chiamato  ad  individuare  la
sussistenza,  alla  stregua  della  Costituzione,  di  uno  specifico
diritto  inviolabile della persona necessariamente  presidiato  dalla
minima tutela risarcitoria.
2.10. Nell'ipotesi in cui il fatto illecito si configuri (anche  solo
astrattamente: S.U. n. 6651/1982) come reato, e' risarcibile il danno
non  patrimoniale,  sofferto dalla persona offesa e  dagli  ulteriori
eventuali danneggiati (nel caso di illecito plurioffensivo: sent.  n.
4186/1998;  S.U.  n.  9556/2002), nella sua piu' ampia  accezione  di
danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona  non
connotati da rilevanza economica.
La  limitazione  alla  tradizionale  figura  del  c.d.  danno  morale
soggettivo   transeunte  va  definitivamente  superata.  La   figura,
recepita  per  lungo  tempo  dalla pratica  giurisprudenziale,  aveva
fondamento normativo assai dubbio, poiche' ne' l'art. 2059 c.c.,  ne'
l'art.  185  c.p.,  parlano di danno morale, e  tantomeno  lo  dicono
rilevante  solo  se sia transitorio, ed era carente anche  sul  piano
della   adeguatezza  della  tutela,  poiche'  la  sofferenza   morale
cagionata  dal reato non e' necessariamente transeunte,  ben  potendo
l'effetto  penoso  protrarsi anche per lungo  tempo  (lo  riconosceva
quella giurisprudenza che, nel caso di morte del soggetto danneggiato
nel  corso  del processo, commisurava il risarcimento sia  del  danno
biologico che di quello morale, postulandone la permanenza, al  tempo
di vita effettiva: n. 19057/2003; n. 3806/2004; n. 21683/2005).
Va   conseguentemente  affermato  che,  nell'ambito  della  categoria
generale  del danno non patrimoniale, la formula "danno  morale"  non
individua  una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive,  tra  i
vari  possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di  pregiudizio,
costituito  dalla sofferenza soggettiva cagionata dal  reato  in  se'
considerata.  Sofferenza la cui intensita' e  durata  nel  tempo  non
assumono  rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo  della
quantificazione del risarcimento.
In  ragione  della  ampia accezione del danno  non  patrimoniale,  in
presenza  del  reato  e'  risarcibile  non  soltanto  il  danno   non
patrimoniale  conseguente alla lesione di diritti  costituzionalmente
inviolabili  (come avverra', nel caso del reato di  lesioni  colpose,
ove  si  configuri  danno biologico per la vittima,  o  nel  caso  di
uccisione o lesione grave di congiunto, determinante la perdita o  la
compromissione  del rapporto parentale), ma anche quello  conseguente
alla  lesione  di  interessi inerenti la persona  non  presidiati  da
siffatti  diritti,  ma  meritevoli di tutela in base  all'ordinamento
(secondo il criterio dell'ingiustizia ex art. 2043 c.c.), poiche'  la
tipicita',  in  questo caso, non e' determinata  soltanto  dal  rango
dell'interesse  protetto, ma in ragione della scelta del  legislatore
di  dire  risarcibili  i danni non patrimoniali cagionati  da  reato.
Scelta   che  comunque  implica  la  considerazione  della  rilevanza
dell'interesse  leso, desumibile dalla predisposizione  della  tutela
penale.
2.11.  Negli  altri casi determinati dalla legge la  selezione  degli
interessi e' gia' compiuta dal legislatore. Va notato che,  nei  casi
previsti  da  leggi vigenti richiamati in precedenza, il risarcimento
e'  collegato alla lesione di diritti inviolabili della persona: alla
liberta' personale, alla riservatezza, a non subire discriminazioni.
Non  puo'  tuttavia  ritenersi precluso al  legislatore  ampliare  il
catalogo  dei  casi determinati dalla legge ordinaria  prevedendo  la
tutela  risarcitoria non patrimoniale anche in relazione ad interessi
inerenti  la  persona non aventi il rango costituzionale  di  diritti
inviolabili, privilegiandone taluno rispetto agli altri (Corte  Cost.
n. 87/1979).
Situazione  che  non ricorre in relazione ai diritti predicati  dalla
Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo,
ratificata  con  la  L.  n.  88  del 1955,  quale  risulta  dai  vari
Protocolli  susseguitisi, ai quali non spetta  il  rango  di  diritti
costituzionalmente  protetti, poiche'  la  Convenzione,  pur  essendo
dotata  di  una  natura che la distingue dagli obblighi  nascenti  da
altri  Trattati  internazionali, non assume, in  forza  dell'art.  11
Cost.,  il rango di fonte costituzionale, ne' puo' essere parificata,
a  tali  fini, all'efficacia del diritto comunitario nell'ordinamento
interno (Corte Cost. n. 348/2007).
2.12.   Fuori  dai  casi  determinati  dalla  legge  e'  data  tutela
risarcitoria  al  danno non patrimoniale solo  se  sia  accertata  la
lesione di un diritto inviolabile della persona: deve sussistere  una
ingiustizia costituzionalmente qualificata.
2.13.  In  tali  ipotesi  non emergono, nell'ambito  della  categoria
generale  "danno  non patrimoniale", distinte sottocategorie,  ma  si
concretizzano  soltanto specifici casi determinati  dalla  legge,  al
massimo  livello  costituito dalla Costituzione, di  riparazione  del
danno non patrimoniale.
E'  solo  a fini descrittivi che, in dette ipotesi, come avviene,  ad
esempio, nel caso di lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.),
si  impiega un nome, parlando di danno biologico. Ci si riferisce  in
tal modo ad una figura che ha avuto espresso riconoscimento normativo
nel  D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, recante il Codice delle
assicurazioni  private,  che individuano  il  danno  biologico  nella
"lesione  temporanea  o permanente all'integrita'  psicofisica  della
persona   suscettibile  di  accertamento  medico-legale  che  esplica
un'incidenza  negativa  sulle attivita' quotidiane  e  sugli  aspetti
dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da
eventuali ripercussioni sulla sua capacita' di reddito", e  ne  danno
una  definizione  suscettiva  di  generale  applicazione,  in  quanto
recepisce  i risultati ormai definitivamente acquisiti di  una  lunga
elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.
Ed  e' ancora a fini descrittivi che, nel caso di lesione dei diritti
della  famiglia  (artt. 2, 29 e 30 Cost.), si utilizza  la  sintetica
definizione di danno da perdita del rapporto parentale.
In  tal senso, e cioe' come mera sintesi descrittiva, vanno intese le
distinte  denominazioni  (danno morale,  danno  biologico,  danno  da
perdita  del rapporto parentale) adottate dalle sentenze gemelle  del
2003,   e   recepite   dalla  sentenza,  n.  233/2003   della   Corte
Costituzionale.
Le   menzionate  sentenze,  d'altra  parte,  avevano  avuto  cura  di
precisare che non era proficuo ritagliare all'interno della  generale
categoria  del  danno non patrimoniale specifiche  figure  di  danno,
etichettandole  in vario modo (n. 8828/2003), e di  rilevare  che  la
lettura  costituzionalmente  orientata dell'art.  2059  c.c.,  doveva
essere  riguardata non gia' come occasione di incremento delle  poste
di danno (e mai come strumento di duplicazione del risarcimento degli
stessi  pregiudizi), ma come mezzo per colmare le lacune della tutela
risarcitoria  della  persona (n. 8827/2003).  Considerazioni  che  le
Sezioni unite condividono.
2.14.  Il  catalogo dei casi in tal modo determinati non  costituisce
numero chiuso.
La  tutela  non  e'  ristretta ai casi di diritti  inviolabili  della
persona  espressamente riconosciuti dalla Costituzione  nel  presente
momento storico, ma, in virtu' dell'apertura dell'art. 2 Cost., ad un
processo   evolutivo,   deve   ritenersi  consentito   all'interprete
rinvenire  nel  complessivo sistema costituzionale indici  che  siano
idonei  a  valutare se nuovi interessi emersi nella  realta'  sociale
siano,  non  genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma  di  rango
costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana.
3. Si pone ora la questione se, nell'ambito della tutela risarcitoria
del danno non patrimoniale, possa inserirsi, come categoria autonoma,
il c.d. danno esistenziale.
3.1.  Secondo una tesi elaborata in dottrina nei primi  anni  '90  il
danno  esistenziale  era  inteso come pregiudizio  non  patrimoniale,
distinto   dal  danno  biologico  (all'epoca  risarcito   nell'ambito
dell'art. 2043 c.c., in collegamento con l'art. 32 Cost.), in assenza
di  lesione  dell'integrita' psicofisica, e  dal  c.d.  danno  morale
soggettivo (unico danno non patrimoniale risarcibile, in presenza  di
reato,  secondo  la tradizionale lettura restrittiva  dell'art.  2059
c.c.,  in  collegamento all'art. 185 c.p.), in quanto  non  attinente
alla  sfera  interiore  del  sentire, ma  alla  sfera  del  fare  non
reddituale del soggetto.
Tale  figura  di danno nasceva dal dichiarato intento di ampliare  la
tutela  risarcitoria  per  i pregiudizi di  natura  non  patrimoniale
incidenti  sulla  persona, svincolandola dai  limiti  dell'art.  2059
c.c.,  e  seguendo la via, gia' percorsa per il danno  biologico,  di
operare   nell'ambito  dell'art.  2043  c.c.,   inteso   come   norma
regolatrice  del  risarcimento non solo del  danno  patrimoniale,  ma
anche di quello non patrimoniale concernente la persona.
Si  affermava  che,  nel  caso in cui il  fatto  illecito  limita  le
attivita' realizzatrici della persona umana, obbligandola ad adottare
nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli passati,
si  realizza  un  nuovo  tipo  di danno  (rispetto  al  danno  morale
soggettivo  ed al danno biologico) definito con l'espressione  "danno
esistenziale".
Il  pregiudizio  era  individuato nella  alterazione  della  vita  di
relazione,   nella   perdita  della  qualita'   della   vita,   nella
compromissione   della   dimensione   esistenziale   della   persona.
Pregiudizi  diversi  dal patimento intimo, costituente  danno  morale
soggettivo,  perche' non consistenti in una sofferenza,  ma  nel  non
poter  piu'  fare  secondo  i modi precedentemente  adottati,  e  non
integranti  danno  biologico, in assenza  di  lesione  all'integrita'
psicofisica.
3.2.  Va rilevato che, gia' nel quadro dell'art. 2043 c.c., nel quale
veniva  inserito,  la  nuova  figura  di  danno  si  risolveva  nella
descrizione  di un pregiudizio di tipo esistenziale (il peggioramento
della  qualita'  della vita, l'alterazione del fare non  reddituale),
non   accompagnata  dalla  necessaria  individuazione,  ai  fini  del
requisito  dell'ingiustizia  del danno, di  quale  fosse  l'interesse
giuridicamente  rilevante leso dal fatto illecito, e  l'insussistenza
della lesione di un interesse siffatto era ostativa all'ammissione  a
risarcimento.
Di  siffatta carenza, non percepita dalla giurisprudenza  di  merito,
mostratasi  favorevole ad erogare tutela risarcitoria al danno  cosi'
descritto     (danno-conseguenza)     senza     svolgere     indagini
sull'ingiustizia  del  danno (per lesione dell'interesse),  e'  stata
invece  avvertita  questa  Corte, in varie pronunce  precedenti  alle
sentenze gemelle del 2003.
La  sentenza n. 7713/2000, pur discorrendo di danno esistenziale,  ed
impiegando  il  collegamento  tra  art.  2043  c.c.,  e  norme  della
Costituzione (nella specie gli artt. 29 e 30), analogamente a  quanto
all'epoca  avveniva  per il danno biologico, ravviso'  il  fondamento
della  tutela  nella lesione del diritto costituzionalmente  protetto
del figlio all'educazione ed all'istruzione, integrante danno-evento.
La   decisione  non  sorregge  quindi  la  tesi  che  vede  il  danno
esistenziale   come   categoria  generale  e  lo   dice   risarcibile
indipendentemente dall'accertata lesione di un interesse rilevante.
La  menzione del danno esistenziale si rinviene anche nella  sentenza
n.  4783/2001,  che  ha definito esistenziale la sofferenza  psichica
provata  dalla  vittima di lesioni fisiche (e quindi in  presenza  di
reato),  alle  quali era seguita dopo breve tempo la  morte,  ed  era
rimasta  lucida durante l'agonia, e riconosciuto il risarcimento  del
danno  agli eredi della vittima. La decisione non conforta la  teoria
del danno esistenziale. Nel quadro di una costante giurisprudenza  di
legittimita'  che nega, nel caso di morte immediata o  intervenuta  a
breve   distanza  dall'evento  lesivo,  il  risarcimento  del   danno
biologico per le perdita della vita (sent. n. 1704/1997, n. 491/1999,
n. 13336/1999, n. 887/2002, n. 517/2006), e lo ammette per la perdita
della  salute  solo se il soggetto sia rimasto in vita per  un  tempo
apprezzabile  (sent.  n. 6404/1998, n. 9620/2003,  n.  4754/2004,  n.
15404/2004), ed a questo lo commisura, la sentenza persegue lo  scopo
di  riconoscere  il risarcimento, a diverso titolo, delle  sofferenze
coscientemente  patite  in  quel  breve  intervallo.  Viene  qui   in
considerazione   il  tema  della  risarcibilita'   della   sofferenza
psichica,  di  massima intensita' anche se di durata  contenuta,  nel
caso  di morte che segua le lesioni dopo breve tempo. Sofferenza che,
non essendo suscettibile di degenerare in danno biologico, in ragione
del  limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, non  puo'  che
essere  risarcita  come  danno morale, nella  sua  nuova  piu'  ampia
accezione.  Ne', d'altra parte, puo' in questa sede essere rimeditato
il  richiamato indirizzo giurisprudenziale, non essendosi manifestato
in questa Corte un argomentato dissenso.
In  tema di danno da irragionevole durata del processo (L. n. 89  del
2001,  art. 2) la sentenza n. 15449/2002, ha espressamente negato  la
distinta  risarcibilita'  del  pregiudizio  esistenziale,  in  quanto
costituente  solo una "voce" del danno non patrimoniale,  risarcibile
per espressa previsione di legge.
Altre  decisioni  hanno  riconosciuto, nell'ambito  del  rapporto  di
lavoro  (e  quindi  in tema di responsabilita' contrattuale,  ponendo
questione sulla quale si tornera' piu' avanti), il danno esistenziale
da mancato godimento del riposo settimanale (sent. n. 9009/2001) e da
demansionamento (sent. n. 8904/2003), ravvisando nei  detti  casi  la
lesione di diritti fondamentali del lavoratore, e quindi ricollegando
la risarcibilita' ad una ingiustizia costituzionalmente qualificata.
Al  danno esistenziale era dato ampio spazio dai giudici di pace,  in
relazione  alle  piu' fantasiose, ed a volte risibili, prospettazioni
di  pregiudizi  suscettivi  di alterare il  modo  di  esistere  delle
persone: la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l'errato taglio
di  capelli, l'attesa stressante in aeroporto, il disservizio  di  un
ufficio  pubblico, l'invio di contravvenzioni illegittime,  la  morte
dell'animale di affezione, il maltrattamento di animali,  il  mancato
godimento  della  partita di calcio per televisione  determinato  dal
black-out elettrico. In tal modo si risarcivano pregiudizi di  dubbia
serieta',  a prescindere dall'individuazione dell'interesse  leso,  e
quindi del requisito dell'ingiustizia.
3.3.  Questi erano dunque i termini nei quali viveva, nelle  opinioni
della  dottrina e nelle applicazioni della giurisprudenza, la  figura
del danno esistenziale.
Dopo  che  le  sentenze  n.  8827 e n.  8828/2003  hanno  fissato  il
principio, condiviso da queste Sezioni unite, secondo cui, in  virtu'
di  una  lettura  costituzionalmente orientata dell'art.  2059  c.c.,
unica norma disciplinante il risarcimento del danno non patrimoniale,
la  tutela risarcitoria di questo danno e' data, oltre che  nei  casi
determinati  dalla  legge,  solo nel caso  di  lesione  di  specifici
diritti  inviolabili  della  persona, e  cioe'  in  presenza  di  una
ingiustizia  costituzionalmente qualificata,  di  danno  esistenziale
come autonoma categoria di danno non e' piu' dato discorrere.
3.4. Come si e' ricordato, la figura del danno esistenziale era stata
proposta  nel dichiarato intento di supplire ad un vuoto  di  tutela,
che ormai piu' non sussiste.
3.4.1.  In  presenza di reato, superato il tradizionale  orientamento
che  limitava  il  risarcimento  al  solo  danno  morale  soggettivo,
identificato  con  il  patema  d'animo transeunte,  ed  affermata  la
risarcibilita'  del  danno  non patrimoniale  nella  sua  piu'  ampia
accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel  non
poter   fare  (ma  sarebbe  meglio  dire:  nella  sofferenza   morale
determinata dal non poter fare) e' risarcibile.
La  tutela  risarcitoria sara' riconosciuta  se  il  pregiudizio  sia
conseguenza  della  lesione  almeno di  un  interesse  giuridicamente
protetto,   desunto  dall'ordinamento  positivo,  ivi   comprese   le
convenzioni  internazionali (come la gia' citata Convenzione  europea
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con la L. n. 88
del  1955),  e  cioe' purche' sussista il requisito  dell'ingiustizia
generica  secondo  l'art.  2043 c.c.. E la  previsione  della  tutela
penale costituisce sicuro indice della rilevanza dell'interesse leso.
3.4.2. In assenza di reato, e al di fuori dei casi determinati  dalla
legge,  pregiudizi  di  tipo esistenziale  sono  risarcibili  purche'
conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona.
Ipotesi  che  si  realizza, ad esempio, nel caso dello sconvolgimento
della vita familiare provocato dalla perdita di congiunto (c.d. danno
da  perdita del rapporto parentale), poiche' il pregiudizio  di  tipo
esistenziale  consegue  alla lesione dei  diritti  inviolabili  della
famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.).
In  questo caso, vengono in considerazione pregiudizi che, in  quanto
attengono  all'esistenza  della persona,  per  comodita'  di  sintesi
possono  essere  descritti e definiti come  esistenziali,  senza  che
tuttavia possa configurarsi una autonoma categoria di danno.
Altri   pregiudizi   di  tipo  esistenziale  attinenti   alla   sfera
relazionale  della persona, ma non conseguenti a lesione psicofisica,
e quindi non rientranti nell'ambito del danno biologico (comprensivo,
secondo  giurisprudenza  ormai  consolidata,  sia  del  c.d.   "danno
estetico"  che  del  c.d.  "danno alla vita di  relazione"),  saranno
risarcibili  purche'  siano conseguenti alla lesione  di  un  diritto
inviolabile  della  persona  diverso  dal  diritto  alla   integrita'
psicofisica.
Ipotesi  che  si  verifica  nel  caso (esaminato  dalla  sentenza  n.
6607/1986)  dell'illecito che, cagionando ad  una  persona  coniugata
l'impossibilita'   di   rapporti   sessuali   e'   immediatamente   e
direttamente  lesivo del diritto dell'altro coniuge a tali  rapporti,
quale  diritto-dovere reciproco, inerente alla persona, strutturante,
insieme agli altri diritti-doveri reciproci, il rapporto di coniugio.
Nella  fattispecie il pregiudizio e' conseguente alla violazione  dei
diritti  inviolabili della famiglia spettanti al coniuge del soggetto
leso nella sua integrita' psicofisica.
3.5. Il pregiudizio di tipo esistenziale, per quanto si e' detto,  e'
quindi  risarcibile  solo entro il limite segnato  dalla  ingiustizia
costituzionalmente  qualificata  dell'evento  di  danno.  Se  non  si
riscontra  lesione  di diritti costituzionalmente  inviolabili  della
persona non e' data tutela risarcitoria.
Per  superare tale limitazione, e' stata prospettata la tesi  secondo
cui la rilevanza costituzionale non deve attenere all'interesse leso,
bensi'  al  pregiudizio  sofferto.  Si  sostiene  che,  incidendo  il
pregiudizio  di  tipo esistenziale, consistente nell'alterazione  del
fare non reddituale, sulla sfera della persona, per cio' soltanto  ad
esso  va  riconosciuta rilevanza costituzionale, senza necessita'  di
indagare  la  natura dell'interesse leso e la consistenza  della  sua
tutela costituzionale.
La   tesi  pretende  di  vagliare  la  rilevanza  costituzionale  con
riferimento al tipo di pregiudizio, cioe' al danno-conseguenza, e non
al  diritto  leso, cioe' all'evento dannoso, in tal modo confonde  il
piano  del  pregiudizio  da riparare con quello  dell'ingiustizia  da
dimostrare, e va disattesa.
Essa   si   risolve   sostanzialmente  nell'abrogazione   surrettizia
dell'art.  2059 c.c., nella sua lettura costituzionalmente orientata,
perche' cancella la persistente limitazione della tutela risarcitoria
(al  di  fuori dei casi determinati dalla legge) ai casi  in  cui  il
danno  non  patrimoniale sia conseguenza della lesione di un  diritto
inviolabile  della  persona,  e  cioe'  in  presenza  di  ingiustizia
costituzionalmente qualificata dell'evento dannoso.
3.6.  Ulteriore  tentativo di superamento dei  limiti  segnati  dalla
lettura   costituzionalmente  orientata  dell'art.  2059   c.c.,   e'
incentrato  sull'assunto  secondo cui il danno  esistenziale  non  si
identifica con la lesione di un bene costituzionalmente protetto,  ma
puo'   scaturire  dalla  lesione  di  qualsiasi  bene  giuridicamente
rilevante.
La  tesi  e'  inaccettabile, in quanto si risolve nel  ricondurre  il
preteso  danno  sotto  la disciplina dell'art.  2043  c.c.,  dove  il
risarcimento  e'  dato  purche' sia leso un  interesse  genericamente
rilevante  per  l'ordinamento, contraddicendo  l'affermato  principio
della tipicita' del danno non patrimoniale.
E  non e' prospettabile illegittimita' costituzionale dell'art.  2059
c.c.,  come  rinvigorito da questa Corte con le sentenze gemelle  del
2003,  in  quanto non ammette a risarcimento, al di  fuori  dei  casi
previsti  dalla  legge (reato ed ipotesi tipiche), i  pregiudizi  non
patrimoniali conseguenti alla lesione non di diritti inviolabili,  ma
di  interessi genericamente rilevanti, poiche' la tutela risarcitoria
minima  ed  insopprimibile vale soltanto per la lesione  dei  diritti
inviolabili (Corte Cost. n. 87/1979).
3.7. Il superamento dei limiti alla tutela risarcitoria dei danni non
patrimoniali,  che permangono, nei termini suesposti, anche  dopo  la
rilettura conforme a Costituzione dell'art. 2059 c.c., puo'  derivare
da  una  norma comunitaria che preveda il risarcimento del danno  non
patrimoniale  senza  porre limiti, in ragione  della  prevalenza  del
diritto comunitario sul diritto interno.
Va ricordato che l'effetto connesso alla vigenza di norma comunitaria
e'  quello non gia' di caducare, nell'accezione propria del  termine,
la  norma  interna incompatibile, bensi' di impedire che  tale  norma
venga  in  rilievo per la definizione della controversia  innanzi  al
giudice nazionale (Corte cost. n. 170/1984; S.U. n. 1512/1998;  Cass.
n. 4466/2005).
3.8. Queste Sezioni unite, con la sentenza n. 6572/2006, trattando il
tema del riparto degli oneri probatori in tema di riconoscimento  del
diritto  del  lavoratore  al  risarcimento  del  danno  professionale
biologico  o  esistenziale  da  demansionamento  o  dequalificazione,
nell'ambito  del  rapporto  di  lavoro,  hanno  definito   il   danno
esistenziale, come ogni pregiudizio (di natura non meramente  emotiva
ed  interiore,  ma  oggettivamente accertabile,  provocato  sul  fare
areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini di vita  e  gli
assetti  relazionali che gli erano propri, inducendolo  a  scelte  di
vita  diverse  quanto  alla  espressione e  realizzazione  della  sua
personalita'  nel  mondo esterno. La pronuncia e'  stata  seguita  da
altre  sentenze  (n.  4260/2007;  n.  5221/2007;  n.  11278/2007;  n.
26561/2007).
Non  sembra  tuttavia che tali decisioni, che si muovono  nell'ambito
della  affermata natura contrattuale della responsabilita' del datore
di lavoro (cosi' ponendo la piu' ampia questione della risarcibilita'
del  danno  non  patrimoniale da inadempimento di  obbligazioni,  che
sara'  trattata piu' avanti e positivamente risolta),  confortino  la
tesi  di  quanti  configurano  il danno  esistenziale  come  autonoma
categoria,   destinata  ad  assumere  rilievo  anche  al   di   fuori
dell'ambito del rapporto di lavoro.
Le  menzionate  sentenze  individuano specifici  pregiudizi  di  tipo
esistenziale  da violazioni di obblighi contrattuali nell'ambito  del
rapporto  di  lavoro.  In particolare, dalla violazione  dell'obbligo
dell'imprenditore di tutelare l'integrita' fisica e  la  personalita'
morale  del  lavoratore (art. 2087 c.c.). Vengono  in  considerazione
diritti  della persona del lavoratore che, gia' tutelati  dal  codice
del  1942, sono assurti in virtu' della Costituzione, grazie all'art.
32 Cost., quanto alla tutela dell'integrita' fisica, ed agli artt. 1,
2,  4  e  35  Cost., quanto alla tutela della dignita' personale  del
lavoratore,  a  diritti  inviolabili,  la  cui  lesione  da  luogo  a
risarcimento  dei pregiudizi non patrimoniali, di tipo  esistenziale,
da  inadempimento contrattuale. Si verte, in sostanza, in una ipotesi
di  risarcimento  di  danni non patrimoniali in  ambito  contrattuale
legislativamente prevista.
3.9. Palesemente non meritevoli dalla tutela risarcitoria, invocata a
titolo  di  danno  esistenziale, sono  i  pregiudizi  consistenti  in
disagi,  fastidi,  disappunti,  ansie  ed  in  ogni  altro  tipo   di
insoddisfazione  concernente gli aspetti piu'  disparati  della  vita
quotidiana  che ciascuno conduce nel contesto sociale,  ai  quali  ha
prestato invece tutela la giustizia di prossimita'.
Non   vale,  per  dirli  risarcibili,  invocare  diritti  del   tutto
immaginari, come il diritto alla qualita' della vita, allo  stato  di
benessere, alla serenita': in definitiva il diritto ad essere felici.
Al  di  fuori  dei  casi determinati dalla legge ordinaria,  solo  la
lesione   di  un  diritto  inviolabile  della  persona  concretamente
individuato   e'   fonte   di   responsabilita'   risarcitoria    non
patrimoniale.
In   tal   senso,  per  difetto  dell'ingiustizia  costituzionalmente
qualificata,  e'  stato correttamente negato il risarcimento  ad  una
persona che si affermava "stressata" per effetto dell'istallazione di
un  lampione a ridosso del proprio appartamento per la compromissione
della  serenita' e sicurezza, sul rilievo che i menzionati  interessi
non  sono  presidiati  da diritti di rango costituzionale  (sent.  n.
3284/2008).
E  per  eguale  ragione  non  e'  stato  ammesso  a  risarcimento  il
pregiudizio  sofferto  per la perdita di un animale  (un  cavallo  da
corsa)  incidendo la lesione su un rapporto, tra l'uomo e  l'animale,
privo,    nell'attuale   assetto   dell'ordinamento,   di   copertura
costituzionale (sent. n. 14846/2007).
3.10.   Il  risarcimento  di  pretesi  danni  esistenziali  e'  stato
frequentemente  richiesto ai giudici di pace ed ha  dato  luogo  alla
proliferazione delle c.d. liti bagatellari.
Con tale formula si individuano le cause risarcitorie in cui il danno
consequenziale   e'   futile  o  irrisorio,   ovvero,   pur   essendo
oggettivamente  serio,  e' tuttavia, secondo  la  coscienza  sociale,
insignificante o irrilevante per il livello raggiunto.
In  entrambi  i  casi  deve sussistere la lesione  dell'interesse  in
termini   di  ingiustizia  costituzionalmente  qualificata,  restando
diversamente esclusa in radice (al dei fuori dei casi previsti  dalla
legge) l'invocabilita' dell'art. 2059 c.c..
La  differenza  tra  i  due casi e' data dal  fatto  che  nel  primo,
nell'ambito dell'area del danno-conseguenza del quale e' richiesto il
ristoro  e'  allegato un pregiudizio esistenziale futile,  non  serio
(non  poter piu' urlare allo stadio, fumare o bere alcolici),  mentre
nel  secondo e' l'offesa arrecata che e' priva di gravita',  per  non
essere  stato inciso il diritto oltre una soglia minima: come avviene
nel  caso del graffio superficiale dell'epidermide, del mal di  testa
per  una  sola mattinata conseguente ai fumi emessi da una  fabbrica,
dal  disagio di poche ore cagionato dall'impossibilita' di uscire  di
casa  per  l'esecuzione  di  lavori  stradali  di  pari  durata   (in
quest'ultimo  caso non e' leso un diritto inviolabile, non  spettando
tale  rango  al diritto alla libera circolazione di cui  all'art.  16
Cost., che puo' essere limitato per varie ragioni).
3.11.  La  gravita' dell'offesa costituisce requisito  ulteriore  per
l'ammissione  a risarcimento dei danni non patrimoniali alla  persona
conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili.
Il  diritto  deve  essere  inciso  oltre  una  certa  soglia  minima,
cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere  una  certa
soglia di offensivita', rendendo il pregiudizio tanto serio da essere
meritevole  di  tutela in un sistema che impone un  grado  minimo  di
tolleranza.
Il  filtro  della gravita' della lesione e della serieta'  del  danno
attua  il  bilanciamento tra il principio di  solidarieta'  verso  la
vittima,  e  quello  di  tolleranza,  con  la  conseguenza   che   il
risarcimento del danno non patrimoniale e' dovuto solo  nel  caso  in
cui  sia superato il livello di tollerabilita' ed il pregiudizio  non
sia  futile. Pregiudizi connotati da futilita' ogni persona  inserita
nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtu' del dovere
della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.).
Entrambi  i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo  il
parametro  costituito  dalla  coscienza  sociale  in  un  determinato
momento  storico (criterio sovente utilizzato in materia  di  lavoro,
sent.   n.  17208/2002;  n.  9266/2005,  o  disciplinare,   S.U.   n.
16265/2002).
3.12.  I  limiti  fissati  dall'art. 2059 c.c.,  non  possono  essere
ignorati  dal giudice di pace nelle cause di valore non superiore  ad
euro millecento, in cui decide secondo equita'.
La  norma,  nella  lettura costituzionalmente  orientata  accolta  da
queste  Sezioni unite, in quanto pone le regole generali della tutela
risarcitoria  non  patrimoniale,  costituisce  principio  informatore
della materia in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, che
il giudice di pace, nelle questioni da decidere secondo equita', deve
osservare (Corte Cost. n. 206/2004).
3.13. In conclusione, deve ribadirsi che il danno non patrimoniale e'
categoria  generale non suscettiva di suddivisione in  sottocategorie
variamente etichettate. In particolare, non puo' farsi riferimento ad
una  generica sottocategoria denominata "danno esistenziale", perche'
attraverso  questa  si  finisce  per  portare  anche  il  danno   non
patrimoniale  nell'atipicita', sia pure  attraverso  l'individuazione
della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale,  in
cui  tuttavia  confluiscono fattispecie non necessariamente  previste
dalla  norma  ai  fini della risarcibilita' di tale  tipo  di  danno,
mentre tale situazione non e' voluta dal legislatore ordinario ne' e'
necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art. 2059  c.c.,
che  rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori
della  persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione
(principi  enunciati dalle sentenze n. 15022/2005, n. 11761/2006,  n.
23918/2006, che queste Sezioni unite fanno propri).
3.14.  Le  considerazioni svolte valgono a dare risposta  negativa  a
tutti  i  quesiti, in quanto postulanti la sussistenza della autonoma
categoria del danno esistenziale.
4.  Il  danno  non  patrimoniale conseguente all'inadempimento  delle
obbligazioni,  secondo  l'opinione  prevalente  in  dottrina  ed   in
giurisprudenza, non era ritenuto risarcibile.
L'ostacolo  era  ravvisato  nella mancanza,  nella  disciplina  della
responsabilita'  contrattuale, di una  norma  analoga  all'art.  2059
c.c., dettato in materia di fatti illeciti.
Per  aggirare  l'ostacolo,  nel caso in cui  oltre  all'inadempimento
fosse  configurabile  lesione del principio del neminem  laedere,  la
giurisprudenza  aveva  elaborato la teoria del cumulo  delle  azioni,
contrattuale ed extracontrattuale (sent. n. 2975/1968, seguita  dalla
n.  8656/1996,  nel  caso del trasportato che  abbia  subito  lesioni
nell'esecuzione  del contratto di trasporto; sent. n.  8331/2001,  in
materia di tutela del lavoratore).
A  parte il suo dubbio fondamento dogmatico (contestato in dottrina),
la  tesi  non risolveva la questione del risarcimento del  danno  non
patrimoniale  in  senso  lato, poiche' lo riconduceva,  in  relazione
all'azione extracontrattuale, entro i ristretti limiti dell'art. 2059
c.c.,  in  collegamento con l'art. 185 c.p., sicche' il  risarcimento
era condizionato alla qualificazione del fatto illecito come reato ed
era comunque ristretto al solo danno morale soggettivo.
Dalle strettoie dell'art. 2059 c.c., si sottraeva il danno biologico,
azionato  in  sede  di  responsabilita'  aquiliana,  grazie  al   suo
inserimento nell'art. 2043 c.c. (Corte Cost. n. 184/1986).
4.1.  L'interpretazione costituzionalmente orientata  dell'art.  2059
c.c.,  consente  ora  di  affermare che  anche  nella  materia  della
responsabilita' contrattuale e' dato il risarcimento  dei  danni  non
patrimoniali.
Dal   principio   del  necessario  riconoscimento,  per   i   diritti
inviolabili  della  persona,  della  minima  tutela  costituita   dal
risarcimento,  consegue che la lesione dei diritti inviolabili  della
persona  che  abbia  determinato un danno non  patrimoniale  comporta
l'obbligo  di  risarcire tale danno, quale che  sia  la  fonte  della
responsabilita', contrattuale o extracontrattuale.
Se l'inadempimento dell'obbligazione determina, oltre alla violazione
degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche
la  lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la
tutela  risarcitoria del danno non patrimoniale potra' essere versata
nell'azione   di   responsabilita'  contrattuale,   senza   ricorrere
all'espediente del cumulo di azioni.
4.2.  Che  interessi  di  natura  non patrimoniale  possano  assumere
rilevanza  nell'ambito delle obbligazioni contrattuali, e' confermato
dalla previsione dell'art. 1174 c.c., secondo cui la prestazione  che
forma   oggetto   dell'obbligazione  deve  essere   suscettibile   di
valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non
patrimoniale, del creditore.
L'individuazione,  in relazione alla specifica ipotesi  contrattuale,
degli  interessi compresi nell'area del contratto che, oltre a quelli
a  contenuto patrimoniale, presentino carattere non patrimoniale,  va
condotta accertando la causa concreta del negozio, da intendersi come
sintesi  degli interessi reali che il contratto stesso e'  diretto  a
realizzare, al di la' del modello, anche tipico, adoperato;  sintesi,
e   dunque  ragione  concreta,  della  dinamica  contrattuale   (come
condivisibilmente affermato dalla sentenza n. 10490/2006).
4.3.  Vengono  in  considerazione, anzitutto,  i  c.d.  contratti  di
protezione,   quali  sono  quelli  che  si  concludono  nel   settore
sanitario. In questi gli interessi da realizzare attengono alla sfera
della  salute  in  senso  ampio,  di guisa  che  l'inadempimento  del
debitore  e'  suscettivo di ledere diritti inviolabili della  persona
cagionando pregiudizi non patrimoniali.
In  tal senso si esprime una cospicua giurisprudenza di questa Corte,
che  ha  avuto  modo di inquadrare nell'ambito della  responsabilita'
contrattuale   la  responsabilita'  del  medico  e  della   struttura
sanitaria (sent. n. 589/1999 e successive conformi, che, quanto  alla
struttura,  hanno  applicato il principio  della  responsabilita'  da
contatto  sociale  qualificato), e di riconoscere  tutela,  oltre  al
paziente,  a  soggetti  terzi,  ai quali  si  estendono  gli  effetti
protettivi   del  contratto,  e  quindi,  oltre  alla  gestante,   al
nascituro,  subordinatamente alla nascita (sent.  n.  11503/1003;  n.
5881/2000); ed al padre, nel caso di omessa diagnosi di malformazioni
del  feto e conseguente nascita indesiderata (sent. n. 6735/2002;  n.
14488/2004; n. 20320/2005).
I  suindicati soggetti, a seconda dei casi, avevano subito la lesione
del  diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost., comma 1),  sotto
il  profilo  del  danno biologico sia fisico che psichico  (sent.  n.
1511/2007); del diritto inviolabile all'autodeterminazione  (art.  32
Cost.,  comma 2, e art. 13 Cost.), come nel caso della gestante  che,
per errore diagnostico, non era stata posta in condizione di decidere
se interrompere la gravidanza (sent. n. 6735/2002 e conformi citate),
e  nei  casi di violazione dell'obbligo del consenso informato (sent.
n.  544/2006); dei diritti propri della famiglia (artt. 2,  29  e  30
Cost.),  come nel caso di cui alle sentenze n. 6735/2002  e  conformi
citate.
4.4.  Costituisce contratto di protezione anche quello che intercorre
tra  l'allievo  e l'istituto scolastico. In esso, che  trova  la  sua
fonte  nel  contatto sociale (S.U. n. 9346/2002; sent. n. 8067/2007),
tra  gli interessi non patrimoniali da realizzare rientra quello alla
integrita'  fisica  dell'allievo, con conseguente risarcibilita'  del
danno non patrimoniale da autolesione (sentenze citate).
4.5. L'esigenza di accertare se, in concreto, il contratto tenda alla
realizzazione  anche  di  interessi non  patrimoniali,  eventualmente
presidiati da diritti inviolabili della persona, viene meno nel  caso
in  cui  l'inserimento di interessi siffatti nel rapporto  sia  opera
della legge.
E'  questo  il  caso  del  contratto  di  lavoro.  L'art.  2087  c.c.
("L'imprenditore e' tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le
misure che, secondo la particolarita' del lavoro, l'esperienza  e  la
tecnica,  sono  necessarie  a  tutelare  l'integrita'  fisica  e   la
personalita'  morale dei prestatori di lavoro"), inserendo  nell'area
del  rapporto  di  lavoro  interessi non  suscettivi  di  valutazione
economica  (l'integrita'  fisica  e  la  personalita'  morale)   gia'
implicava  che, nel caso in cui l'inadempimento avesse  provocato  la
loro lesione, era dovuto il risarcimento del danno non patrimoniale.
Il  presidio  dei  detti  interessi  della  persona  ad  opera  della
Costituzione,  che  li  ha  elevati a  diritti  inviolabili,  ha  poi
rinforzato  la  tutela. Con la conseguenza che  la  loro  lesione  e'
suscettiva di dare luogo al risarcimento dei danni conseguenza, sotto
il  profilo della lesione dell'integrita' psicofisica (art. 32 Cost.)
secondo  le  modalita'  del danno biologico, o  della  lesione  della
dignita'  personale  del lavoratore (artt.  2,  4,  32  Cost.),  come
avviene   nel   caso   dei   pregiudizi  alla   professionalita'   da
dequalificazione,   che  si  risolvano  nella  compromissione   delle
aspettative  di  sviluppo della personalita' del  lavoratore  che  si
svolge nella formazione sociale costituita dall'impresa.
Nell'ipotesi da ultimo considerata si parla, nella giurisprudenza  di
questa Corte (sent. n. 6572/2006), di danno esistenziale. Definizione
che  ha  valenza  prevalentemente  nominalistica,  poiche'  i  danni-
conseguenza non patrimoniali che vengono in considerazione altro  non
sono   che   pregiudizi   attinenti  alla  svolgimento   della   vita
professionale  del  lavoratore, e quindi danni di tipo  esistenziale,
ammessi  a  risarcimento  in  virtu'  della  lesione,  in  ambito  di
responsabilita'  contrattuale, di diritti  inviolabili  e  quindi  di
ingiustizia costituzionalmente qualificata.
4.6.  Quanto  al  contratto di trasporto, la  tutela  dell'integrita'
fisica  del trasportato e' compresa tra le obbligazioni del  vettore,
che  risponde dei sinistri che colpiscono la persona del  viaggiatore
durante il viaggio (art. 1681 c.c.).
Il   vettore   e'   quindi  obbligato  a  risarcire   a   titolo   di
responsabilita'  contrattuale  il  danno  biologico   riportato   nel
sinistro  dal viaggiatore. Ove ricorra ipotesi di inadempimento-reato
(lesioni  colpose),  varranno i principi  enunciati  con  riferimento
all'ipotesi  del danno non patrimoniale da reato, anche in  relazione
all'ipotesi   dell'illecito   plurioffensivo,   e   sara'   dato   il
risarcimento del danno non patrimoniale nella sua ampia accezione.
4.7.  Nell'ambito della responsabilita' contrattuale il  risarcimento
sara'  regolato dalle norme dettate in materia, da leggere  in  senso
costituzionalmente orientato.
L'art. 1218 c.c., nella parte in cui dispone che il debitore che  non
esegue  esattamente la prestazione dovuta e' tenuto  al  risarcimento
del   danno,   non  puo'  quindi  essere  riferito  al   solo   danno
patrimoniale,   ma   deve  ritenersi  comprensivo   del   danno   non
patrimoniale,  qualora l'inadempimento abbia determinato  lesione  di
diritti inviolabili della persona. Ed eguale piu' ampio contenuto  va
individuato  nell'art.  1223 c.c., secondo cui  il  risarcimento  del
danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere cosi'  la
perdita  subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto  ne
siano conseguenza immediata e diretta, riconducendo tra le perdite  e
le  mancate  utilita' anche i pregiudizi non patrimoniali determinati
dalla lesione dei menzionati diritti.
D'altra  parte, la tutela risarcitoria dei diritti inviolabili,  lesi
dall'inadempimento di obbligazioni, sara' soggetta al limite  di  cui
all'art.  1225  c.c.  (non operante in materia di responsabilita'  da
fatto   illecito,  in  difetto  di  richiamo  nell'art.  2056  c.c.),
restando,  al di fuori dei casi di dolo, limitato il risarcimento  al
danno che poteva prevedersi nel tempo in cui l'obbligazione e' sorta.
Il rango costituzionale dei diritti suscettivi di lesione rende nulli
i  patti  di  esonero o limitazione della responsabilita',  ai  sensi
dell'art. 1229 c.c., comma 2 (E' nullo qualsiasi patto preventivo  di
esonero o di limitazione della responsabilita' per i casi in  cui  il
fatto  del  debitore o dei suoi ausiliari costituisca  violazione  di
obblighi derivanti da norme di ordine pubblico).
Varranno  le specifiche regole del settore circa l'onere della  prova
(come precisati da Sez. Un. n. 13533/2001), e la prescrizione.
4.8.  Il  risarcimento del danno alla persona deve essere  integrale,
nel  senso  che  deve  ristorare interamente il pregiudizio,  ma  non
oltre.
Si  e'  gia' precisato che il danno non patrimoniale di cui  all'art.
2059 c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione  di
interessi  inerenti la persona non connotati da rilevanza  economica,
costituisce  categoria  unitaria non suscettiva  di  suddivisione  in
sottocategorie.
Il  riferimento  a  determinati tipi di pregiudizio,  in  vario  modo
denominati  (danno  morale, danno biologico,  danno  da  perdita  del
rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica
il riconoscimento di distinte categorie di danno.
E'   compito  del  giudice  accertare  l'effettiva  consistenza   del
pregiudizio   allegato,   a  prescindere  dal   nome   attribuitogli,
individuando  quali ripercussioni negative sul valore-uomo  si  siano
verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.
4.9.  Viene  in  primo luogo in considerazione, nell'ipotesi  in  cui
l'illecito  configuri  reato, la sofferenza  morale.  Definitivamente
accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza
morale,  senza  ulteriori connotazioni in termini di durata,  integra
pregiudizio non patrimoniale.
Deve  tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in se' considerata,
non  come  componente di piu' complesso pregiudizio non patrimoniale.
Ricorre  il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo,  il
dolore  intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata  o  lesa
nella  identita' personale, senza lamentare degenerazioni patologiche
della  sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra
nell'area  del danno biologico, del quale ogni sofferenza,  fisica  o
psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente.
Determina   quindi   duplicazione  di   risarcimento   la   congiunta
attribuzione  del danno biologico e del danno morale  nei  suindicati
termini  inteso, sovente liquidato in percentuale (da un  terzo  alla
meta')  del  primo.  Esclusa la praticabilita'  di  tale  operazione,
dovra'  il  giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere
ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico,
valutando  nella loro effettiva consistenza le sofferenze  fisiche  e
psichiche  patite dal soggetto leso, onde pervenire  al  ristoro  del
danno nella sua interezza.
Egualmente  determina  duplicazione  di  risarcimento  la   congiunta
attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione,  e
del  danno  da perdita del rapporto parentale, poiche' la  sofferenza
patita  nel  momento  in  cui la perdita e' percepita  e  quella  che
accompagna  l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro  non  sono
che  componenti  del complesso pregiudizio, che va  integralmente  ed
unitariamente ristorato.
Possono  costituire solo "voci" del danno biologico nel  suo  aspetto
dinamico, nel quale, per consolidata opinione, e' ormai assorbito  il
c.d.  danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale
concernenti  aspetti  relazionali della vita, conseguenti  a  lesioni
dell'integrita' psicofisica, sicche' darebbe luogo a duplicazione  la
loro distinta riparazione.
Certamente  incluso  nel  danno biologico, se  derivante  da  lesione
dell'integrita'  psicofisica,  e'  il  pregiudizio   da   perdita   o
compromissione  della sessualita', del quale  non  puo',  a  pena  di
incorrere  in  duplicazione risarcitoria, darsi  separato  indennizzo
(diversamente da quanto affermato dalla sentenza n. 2311/2007, che lo
eleva a danno esistenziale autonomo).
Ed  egualmente si avrebbe duplicazione nel caso in cui il pregiudizio
consistente nella alterazione fisica di tipo estetico fosse liquidato
separatamente  e  non come "voce" del danno biologico,  che  il  c.d.
danno estetico pacificamente incorpora.
Il  giudice  potra' invece correttamente riconoscere e  liquidare  il
solo  danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla
vittima  di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve  tempo
la  morte,  che  sia rimasta lucida durante l'agonia  in  consapevole
attesa della fine. Viene cosi' evitato il vuoto di tutela determinato
dalla  giurisprudenza di legittimita' che nega,  nel  caso  di  morte
immediata  o  intervenuta  a breve distanza  dall'evento  lesivo,  il
risarcimento del danno biologico per la perdita della vita (sent.  n.
1704/1997  e successive conformi), e lo ammette per la perdita  della
salute  solo  se  il  soggetto  sia rimasto  in  vita  per  un  tempo
apprezzabile, al quale lo commisura (sent. n. 6404/1998 e  successive
conformi).  Una  sofferenza psichica siffatta, di massima  intensita'
anche  se  di durata contenuta, non essendo suscettibile, in  ragione
del  limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di  degenerare
in  patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno
morale, nella sua nuova piu' ampia accezione.
4.10.  Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato  dalla
lesione  di  diritti  inviolabili della  persona,  costituisce  danno
conseguenza (Cass. n. 8827 e n. 8828/2003; n. 16004/2003),  che  deve
essere allegato e provato.
Va  disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con  l'evento
dannoso,  parlando di "danno evento". La tesi, enunciata dalla  Corte
costituzionale con la sentenza n. 184/1986, e' stata infatti superata
dalla successiva sentenza n. 372/1994, seguita da questa Corte con le
sentenze gemelle del 2003.
E  del pari da respingere e' la variante costituita dall'affermazione
che  nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe  in
re  ipsa,  perche' la tesi snatura la funzione del risarcimento,  che
verrebbe  concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento  di
un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo.
Per  quanto  concerne  i mezzi di prova, per il  danno  biologico  la
vigente  normativa (D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139) richiede
l'accertamento  medico-legale. Si tratta del  mezzo  di  indagine  al
quale  correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento
esclusivo  e  necessario.  Cosi'  come  e'  nei  poteri  del  giudice
disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico,  del
pari il giudice potra' non disporre l'accertamento medico-legale, non
solo  nel  caso  in  cui  l'indagine diretta sulla  persona  non  sia
possibile  (perche' deceduta o per altre cause), ma anche  quando  lo
ritenga,  motivatamente, superfluo, e porre a  fondamento  della  sua
decisione  tutti  gli  altri  elementi utili  acquisiti  al  processo
(documenti,  testimonianze),  avvalersi  delle  nozioni   di   comune
esperienza e delle presunzioni.
Per  gli altri pregiudizi non patrimoniali potra' farsi ricorso  alla
prova testimoniale, documentale e presuntiva.
Attenendo  il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale,  il
ricorso  alla  prova presuntiva e' destinato ad assumere  particolare
rilievo,  e  potra' costituire anche l'unica fonte per la  formazione
del  convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova  di
rango inferiore agli altri (v., tra le tante, sent. n. 9834/2002). Il
danneggiato  dovra' tuttavia allegare tutti gli elementi  che,  nella
concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata  di
fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto.
B) Ricorso n. 734/06.
1.  Con  il  primo  motivo di ricorso e' dedotta violazione  e  falsa
applicazione  dell'art. 345 c.p.c., comma 1, nel testo vigente  prima
del  30.4.1995,  e  vizio  di  motivazione  su  punto  decisivo,   in
riferimento   alla  affermata  inammissibilita'  della   domanda   di
risarcimento del danno esistenziale.
Il  ricorrente  si  duole  anzitutto che  la  corte  d'appello  abbia
ritenuto  che  la  richiesta di risarcimento del  danno  esistenziale
integrasse una domanda nuova senza considerare che essa costituiva la
mera  riproposizione  di  richieste gia' formulate  in  primo  grado.
Afferma  che, in quella sede, ci si era specificamente riferiti  alle
singole  voci di danno (estetico, alla vita di relazione,  alla  vita
sessuale) che sarebbero state poi ricompresse nella nozione di  danno
esistenziale, all'epoca non ancora elaborata, e censura  la  sentenza
per  aver  dato  rilievo  alla  qualificazione  giuridica  data  alla
richiesta, piuttosto che alle circostanze di fatto poste a fondamento
della   domanda  originaria:  circostanze  identiche,   come   poteva
rilevarsi dalla lettura dell'atto di citazione e di quello di appello
(i  cui  passi sono riportati in ricorso), e concernenti lo stato  di
disagio  in  cui  versava nel mostrarsi privo di  un  testicolo,  con
conseguenti  ripercussioni negative nella sfera  relativa  ai  propri
rapporti sessuali.
Sostiene  poi  che erroneamente i giudici di merito avevano  ritenuto
che la nozione di danno alla salute ricomprenda i concreti pregiudizi
alla  sfera  esistenziale, che concerne invece la  lesione  di  altri
interessi  di rango costituzionale inerenti alla persona  (che  nella
specie   potevano   ritenersi  provati  anche  mediante   ricorso   a
presunzioni).
2.   Con   il  secondo  motivo  e'  denunciata  violazione  e   falsa
applicazione  dell'art. 345 c.p.c., commi 1 e 2,  nel  testo  vigente
prima  del 30.4.1995, con riferimento alla affermata inammissibilita'
della  prova  richiesta in appello in punto di disagio del  leso  nel
mostrare i propri organi genitali e delle conseguenti limitazioni dei
suoi rapporti sessuali.
La  sentenza  e' censurata per aver ritenuto inammissibile  la  prova
testimoniale  articolata in appello sul senso di  "vergogna"  provato
dal  ricorrente  nei momenti di intimita' interpersonale  e  sul  suo
conseguente desiderio di limitare nel numero e nel tempo  i  rapporti
sessuali.
Si  sostiene  che,  una volta escluso che fosse  stata  proposta  una
domanda   nuova,  l'art.  345  c.p.c.,  comma  2,  nella   previgente
formulazione, non sarebbe stato d'ostacolo all'ammissione della prova
testimoniale, invece ritenuta inammissibile proprio perche'  vertente
su  una  domanda  erroneamente qualificata come nuova,  e  come  tale
inammissibile.
2.1. Il primo motivo e' fondato nei sensi che seguono.
Le  considerazioni  svolte  in  sede  di  esame  della  questione  di
particolare  importanza consentono di affermare  che  il  pregiudizio
della  vita  di relazione, anche nell'aspetto concernente i  rapporti
sessuali,   allorche'   dipenda   da  una   lesione   dell'integrita'
psicofisica  della  persona, costituisce uno dei  possibili  riflessi
negativi  della lesione dell'integrita' fisica del quale  il  giudice
deve  tenere conto nella liquidazione del danno biologico, e non puo'
essere  fatta valere come distinto titolo di danno, e segnatamente  a
titolo di danno "esistenziale" (punto 4.9).
Al  danno  biologico va infatti riconosciuta portata  tendenzialmente
omnicomprensiva, confermata dalla definizione normativa adottata  dal
D.Lgs. n. 209 del 2005, recante il Codice delle assicurazioni private
("per  danno biologico si intende la lesione temporanea o  permanente
dell'integrita'   psico-fisica   della   persona,   suscettibile   di
valutazione  medico-legale, che esplica un'incidenza  negativa  sulle
attivita' quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della  vita
del  danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni  sulla
sua  capacita' di produrre reddito"), suscettibile di essere adottata
in  via generale, anche in campi diversi da quelli propri delle sedes
materiae in cui e' stata dettata, avendo il legislatore recepito  sul
punto  i risultati, ormai generalmente acquisiti e condivisi, di  una
lunga  elaborazione  dottrinale  e giurisprudenziale.  In  esso  sono
quindi  ricompresi  i  pregiudizi attinenti agli  "aspetti  dinamico-
relazionali della vita del danneggiato".
Ed  al  danno  esistenziale non puo' essere riconosciuta dignita'  di
autonoma sottocategoria del danno non patrimoniale (punto 3.13).
Nella  specie,  in primo grado, l'attore aveva fatto  valere,  tra  i
pregiudizi    denunciati,   quello   concernente    la    limitazione
dell'attivita'    sessuale   nei   suoi   rapporti    interpersonali,
qualificandolo  come  pregiudizio  di  tipo  esistenziale.  Il  primo
giudice  aveva riconosciuto il danno biologico, senza considerare  il
segnalato  aspetto attinente alla vita relazionale. Di  cio'  si  era
lamentato,  con  l'appello,  l'attore  ed  aveva  richiesto  prove  a
sostegno   del   dedotto  profilo  di  danno,   qualificandolo   come
esistenziale  (prove che potevano essere richieste in secondo  grado,
ai  sensi dell'art. 345 c.p.c., nel testo previgente, trattandosi  di
giudizio introdotto prima del 30.4.2005). Ma la corte territoriale ha
ritenuto  nuova  tale  domanda  e conseguentemente  inammissibili  le
prove.
La decisione non e' corretta.
La   domanda  risarcitoria  relativa  ai  pregiudizi  subiti  per  la
limitazione dell'attivita' sessuale del leso non era nuova,  come  e'
univocamente  evincibile  dalla sostanziale  identita'  di  contenuto
delle  deduzioni  del  primo e del secondo grado,  al  di  la'  della
richiesta  di  risarcimento del "danno esistenziale" subordinatamente
formulata  col  terzo motivo di appello; appello col quale  l'attuale
ricorrente   s'era  doluto  della  inadeguata  considerazione   delle
conseguenze  del tipo di lesione subita in relazione  alla  sua  eta'
all'epoca del fatto (45 anni) ed al suo stato civile di celibe.
La corte territoriale ha, dunque, impropriamente fatto leva sul nomen
iuris  assegnato  dall'appellante alla richiesta di risarcimento  del
pregiudizio  che  viene  in  considerazione  e  che  era  stato  gia'
puntualmente  prospettato  in  primo  grado,  dove  era  stato  anche
correttamente inquadrato nell'ambito del danno biologico.
3.  All'accoglimento del primo motivo per quanto di ragione  consegue
quello  del secondo, avendo la corte d'appello escluso che  la  prova
testimoniale  fosse  ammissibile per la  sola  ragione  che  essa  si
riferiva ad una domanda erroneamente ritenuta nuova.
4. La sentenza va dunque cassata.
5. Il giudice del rinvio, che si designa nella stessa corte d'appello
in   diversa  composizione,  non  dovra'  necessariamente   procedere
all'ammissione della prova testimoniale, non essendogli  precluso  di
ritenere vero - anche in base a semplice inferenza presuntiva  -  che
la  lesione in questione abbia prodotto le conseguenze che si mira  a
provare  per  via testimoniale e di procedere, dunque,  all'eventuale
personalizzazione   del  risarcimento  (nella   specie,   del   danno
biologico);  la  quale non e' mai preclusa dalla  liquidazione  sulla
base  del valore tabellare differenziato di punto, segnatamente  alla
luce  del  rilievo  che  il consulente d'ufficio  ha  dichiaratamente
ritenuto di non attribuire rilevanza, nella determinazione del  grado
percentuale  di invalidita' permanente, al disagio che la menomazione
in   questione  provoca  nei  momenti  di  intimita'  (ed   ai   suoi
consequenziali riflessi).
6.  Il  giudice del rinvio liquidera' anche le spese del giudizio  di
cassazione.
7.  Ricorrono i presupposti di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n.  196,
art. 52, comma 2, in materia di protezione dei dati personali.
                               P.Q.M.
La  Corte  accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per  le  spese,
alla corte d'appello di Venezia in diversa composizione;
dispone  che,  in  caso  di  diffusione della  presente  sentenza  in
qualsiasi forma, per finalita' di informazione giuridica, su riviste,
supporti  elettronici  o mediante reti di comunicazione  elettronica,
sia  omessa  l'indicazione  delle  generalita'  e  degli  altri  dati
identificativi degli interessati.
Cosi' deciso in Roma, il 24 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2008